Apprendere con il corpo e mappe corporee

Ogni anno puntualmente nei mesi di gennaio – febbraio e di maggio – giugno soffro di dolori alla spalla, di torcicollo o di fortissimi dolori al polso della mano con cui scrivo. Faccio l’insegnante e dopo aver cambiato un sacco di fisioterapisti, osteopati, esperti in massaggio ayurvedico, maestri di Shiatsu quest’anno (in periodo di rivendicazioni per quello che ancora era un progetto di legge definito della Buona Scuola) ho incrociato un massaggiatore che simpaticamente ha definito il mio periodico torcicollo “Blocco degli scrutini”. Ho riso pensando ad una battuta, invece lui ha obiettato dicendo che non scherzava: la stagione maggio – giugno era quella in cui lui aveva tra la maggioranza dei suoi pazienti degli insegnanti che accusavano tutti, sintomi simili ai miei. Esattamente nei punti del collo che io indicavo come doloranti.

Mi ha colpito questa osservazione ed è per questo che in periodo estivo dedichiamo al metodo Feldenkrais questo approfondimento al quale già in altre occasioni ci siamo dedicati (nov. 2013 – feb. 2014). Con la speranza e il desiderio che iniziando in periodo di ferie continueremo poi a prenderci cura costantemente del nostro corpo, lentamente ma stabilmente.(D. Pavan)

Tutti i movimenti che compiamo si basano sulla capacità di percepire e riconoscere la posizione nello spazio dei nostri arti e del nostro corpo anche senza l’ausilio della vista. Questa capacità di propriocezione gioca quindi un’importanza fondamentale nei meccanismi di controllo del movimento. Quando la capacità di percepirsi è limitata o compromessa da malattie di tipo neurologico, da traumi o dall’assunzione di droghe, attività relativamente complesse e che diamo per scontato come il semplice camminare, diventano incredibilmente difficili da eseguire. La propriocezione è fondamentale anche per avere un senso soddisfacente di “abitare il proprio corpo” e per come sentiamo e gestiamo il dolore.

Le fondamenta del lavoro con il metodo Feldenkrais, la possibilità di apprendere organicamente e di cambiare gli schemi corporei (nonché quelli emotivi e psicologici), sono l’immagine di sé e la mappa sensoriale scoperta da Penfield e sviluppata negli studi successivi, inclusi quelli di Rizzolati sui neuroni specchio. Queste mappe sono aree del cervello in cui le varie parti costituenti il corpo sono rappresentate, sia per quanto concerne il loro movimento che la possibilità di essere percepite: abbiamo parti del corpo collegate a immagini o aree ad esse deputate e situate nel cervello. La parte del corpo comunica con la sua controparte cerebrale attraverso i meccanorecettori, ricettori sensoriali distribuiti ovunque nel corpo, che inviano un segnale alla parte “cerebrale” quando viene stimolata quella fisica. L’insieme di stimoli relativi alla parte interessata localizza (per usare un termine divenuto comune con l’uso dei GPS) nello spazio la posizione dell’arto o della parte corporea, e lo stato in cui si trova.

Più chiare e dettagliate sono le mappe relative ad ogni parte costituente il corpo, più completi e precisi saranno i movimenti di queste ultime. Per contro, quando la mappa è poco chiara, imprecisa o carente avremo difficoltà a usare bene la parte del corpo ad essa riferita. Per farci un’idea pratica della situazione basti pensare alla facilità con cui un chitarrista riesce ad usare le proprie dita (in particolare l’anulare), mentre chi non ha la fortuna di suonare uno strumento avrà maggiori difficoltà ad usarle con destrezza, e indipendentemente l’una dall’altra. O a come certe aree del corpo che tutti usiamo poco, ad es. la zona tra le scapole, sono difficili da muovere e percepire e sono sede di dolore per moltissime persone (e in particolare per i musicisti che adottano posture ripetute e limitanti).

Le parti che si muovono di più o che sono usate maggiormente, sono quindi rappresentate nel cervello da mappe di maggiori dimensioni. L’immagine del mostruoso homunculus di Penfield inserita di seguito ci dà un chiaro indizio visivo di quanto ogni parte del corpo sia rilevante dal punto di vista funzionale. Più una parte viene usata, più viene rappresentata e ha quindi maggiori dimensioni.

Le mappe non sono statiche ma aumentano o diminuiscono a seconda dell’uso che facciamo di una parte specifica del corpo. Ne consegue che se a causa di un trauma smetteremo di usare un braccio, una gamba o un’articolazione, la relativa mappa diminuirà di dimensione o perderà di chiarezza. Se al contrario, portiamo attenzione a, e iniziamo ad usare una parte che normalmente usiamo poco la sua mappa aumenterà di dimensione.

Questa possibilità di interfacciare e plasmare il cervello è estremamente utile per recuperare la funzionalità e ridurre o eliminare il dolore cronico, ad es. delle cervicalgie che sono spesso accompagnate da mal di testa, o i dolori “alla schiena” di cui il 70% della popolazione sembra essere vittima. Ma per potere effettuare cambiamenti permanenti nelle mappe dobbiamo stimolare la parte fisica corrispondente per un certo periodo e soprattutto in modo consapevole. Ciò porterà a modifiche che sono state osservate e convalidate dagli scienziati che hanno studiato queste correlazioni.

I movimenti che apportano modifiche sostanziali nelle aree del cervello di cui stiamo parlando sono quelli fatti con curiosità, in modo esplorativo e non meccanico, lenti, con variazioni, gentili, che non causano dolore e di cui si può essere consapevoli come viene affermato dallo scienziato forse più all’avanguardia nelle neuroscienze, il Professore Emerito Michael Merzenich nel suo discorso di apertura per il congresso Embodying Neuroscience: The Feldenkrais Method© in Human Development, Performance and Health (San Francisco, 31 agosto, 2012).
Ecco alcune delle sue osservazioni che sono perfettamente in linea con il Metodo Feldenkrais.
Merzenich paragona il suo approccio alla riabilitazione con il Feldenkrais.
Egli afferma che “Più le opzioni di movimento sono ricche e varie, più le persone sono potenti. E più immaginazione hanno più si divertono (…)
È la differenza tra il pensare a come recuperare il movimento o recuperare qualsiasi cosa prendendola a martellate in modo stereotipato. Cioè pensare: “Devo far sì che questa persona si muova da qui a lì.” L’obiettivo è molto più interessante perché ha più a che fare con usare il corpo impiegando una gamma di modi per arrivare al proprio obiettivo in molti modi naturali basati sull’esplorazione (…)

Una delle cose che abbiamo imparato in questa ricerca è che lo stereotipo è il nemico di ogni riabilitazione e che in realtà è possibile esercitare il cervello con una gamma di movimenti diversi, una gamma di azioni che ci mettono alla prova (…)
È meglio cercare di muoversi verso un punto nello spazio a 100 velocità diverse e in 100 modi diversi (…) che muoversi 200 volte allo stesso modo per raggiungere quel punto.”

Perciò sia che stiate cercando di risolvere un problema legato al movimento, o vogliate ridurre il dolore e la tensione che sentite nel vostro collo, oppure siate alla ricerca di una maggiore “presenza” a voi stessi e soddisfazione nell’essere qui e ora, la chiave è accedere alle mappe cerebrali la cui qualità e salute sono importanti tanto quanto la qualità e salute delle controparti fisiche. Risolverete i vostri problemi esplorando i movimenti fisici per la parte del vostro corpo interessata quale essa sia, cervicale, spalle, o zona lombare facendo però attenzione a evitare il dolore perché proprio il dolore diminuisce la capacità del cervello di percepire le informazioni che giungono da un braccio o da una spalla dolorante.
Coinvolgete la vostra attenzione e il vostro corpo in movimenti non meccanici, non dolorosi, fatti con la curiosità di chi vuol scoprire come può muoversi meglio. Il Metodo Feldenkrais© è stato sviluppato proprio con l’obiettivo di produrre questi cambiamenti positivi nelle mappe del cervello.

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