Costruire la democrazia a scuola

“Eppure sono nati e cresciuti qui, da noi, in uno stato democratico…”.

Questa frase, o altre simili a questa, sono state espresse in modo ricorrente in telegiornali, dibattiti televisivi, inchieste, sui recenti fatti di Parigi, o nei frequenti servizi che documentano le partenze di giovani europei immigrati di seconda o terza generazione per combattere nell’esercito dello Stato Islamico. Queste affermazioni dei media rispecchiano e contribuiscono a formare, il pensiero comune: nonostante abbiamo offerto loro le nostre democrazie, sono dei barbari.

Colpisce questa equazione assoluta: stato democratico uguale cittadino democraticamente attivo, maturo e consapevole. Colpisce per la sua falsa ambiguità. Essere nato in democrazia non significa automaticamente averne l’accesso in modo ampio ed autentico, con il pieno godimento di tutti i diritti sociali e di appartenenza che essa comporta.
Innanzitutto bisogna capire dove e come sei nato; se sei un orfano, povero e straniero ad esempio, puoi crescere all’ombra dei grandi ideali di libertà, fraternità ed uguaglianza senza averne i vantaggi ed i benefici. Se vivi nelle periferie o nei centri storici degradati delle grandi metropoli delle democrazie europee anch’esse dotate di carte costituzionali più o meno antiche, non hai certamente la possibilità di vedere incarnati nella tua vita e nell’ambiente intorno a te, i principi a cui esse si ispirano.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (Principi Fondamentali della Costituzione Italiana, art. 3).

Questo recita la nostra Costituzione. Certo, se hanno fortuna, i bambini e i ragazzi sentiranno leggere e spiegare a scuola questi principi, magari nell’ora di Educazione alla Cittadinanza; li studieranno, faranno una verifica ed avranno un voto. Secondo un altro paradigma molto diffuso la scuola spiega, poi valuta la conoscenza, con il voto. Intanto molti di essi torneranno a casa, alla loro vita di sempre, quella con accesso parziale.
Certo lo stato non sta assolvendo il suo compito, ma la scuola lo fa? Il luogo principe dove i ragazzi possono conoscere, apprendere e sperimentare la democrazia è proprio la scuola della Repubblica. Ma la nostra scuola è una scuola davvero democratica? Tutti hanno la stessa possibilità di accesso al sapere, al saper essere e al saper fare? Tutti hanno pari opportunità di maturare competenze disciplinari e civiche? Oppure è rimasta la stessa che Don Lorenzo Milani descriveva con impietosa efficacia: con il Pierino del dottore ed i Giovanni che magari non sono più i contadini di allora, ma comunque cittadini di serie B: poveri, stranieri, nomadi ,emarginati, e quelli che la circolare ministeriale del 27 dicembre 2012 sui Bisogni Educativi Speciali ricomprende in questa categoria definendoli in svantaggio “socio-economico, linguistico, culturale”… categoria molto ampia e variegata.
D’altro canto mai come oggi si sente l’esigenza e l’urgenza di essere preparati alla prospettiva di società multietniche e multi religiose in cui si dovrebbe perseguire e garantire il pluralismo e la convivenza civile di tutti. Questo compito investe anche l’istituzione scolastica, dove insegnare in una prospettiva interculturale vuol dire assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola, occasione privilegiata di apertura a tutte le differenze – non solo quelle etniche o religiose – per la promozione autentica delle potenzialità di tutti gli alunni.
La classe è una comunità, o meglio un territorio collettivo, un luogo del vivere democratico dove l’appartenenza condivisa si costruisce, dove le differenze si incontrano, in cui la partecipazione attiva non si insegna ma si vive.
Le Indicazioni Nazionali richiamano al compito di formare cittadini attivi e consapevoli, e lasciano all’autonomia di progettazione delle scuole di trovare le forme ed i modi più adatti, ed alla preparazione personale degli insegnanti la scelta di metodi e contenuti. Ancora una volta tutto ricade sulla buona volontà del singolo, dando origine ad un panorama frammentato e disomogeneo di attività che spesso si risolvono all’interno dell’ora di educazione alla cittadinanza o in uno dei tanti “Progetti” a sé stante limitati nel tempo.
Ma proprio grazie agli insegnanti la classe può diventare palestra di democrazia, innanzitutto attraverso la costruzione di un clima di lavoro positivo, fatto di rispetto per i modi di essere di ciascuno, per i tempi di apprendimento di tutti, cura e attenzione alle emozioni e ai sentimenti, pazienza, impegno; dove le differenze individuali sono accolte e valorizzate, diventano il variopinto tessuto dell’apprendere, al di là di stereotipi culturali o sterili etichette medicalizzanti. Il clima è determinato, naturalmente in massima parte, dalle competenze disciplinari e sociali dell’insegnante che si pone come modello educativo di adulto maturo e consapevole, appassionato, capace di vedere e leggere il mondo attraverso lo sguardo dell’ “altro da sé”, che si esercita a leggere ed interpretare la realtà, non soltanto attraverso un unico punto di vista, il suo, ma anche attraverso l’interazione dinamica e costruttiva di una rete policentrica di sguardi. Anche quelli che non rispecchiano il suo.
Le attività di apprendimento – insegnamento sono organizzate in modo attivo e collaborativo, secondo scenari ampi ed articolati, in modo da favorire i diversi stili di apprendimento, le diverse intelligenze; sono significativi e motivanti, promuovono sapere autentico. Si attua una reale personalizzazione dell’insegnamento, finalizzata ad assicurare ad ogni allievo una propria eccellenza cognitiva attraverso attività motivanti e significative, che consentono di compensare gli svantaggi, rafforzare le acquisizioni di base e sviluppare propri talenti e attitudini. Le competenze sociali indispensabili al vivere in gruppo vengono individuate insieme agli alunni, le abilità che le compongono sono apprese ed esercitate quotidianamente all’interno dei lavori di coppia, di piccolo e grande gruppo. Largo spazio viene dato all’educazione al conflitto positivo, all’imparare a convivere, discutendo sempre le idee e non le persone, imparando il rispetto.
Per questo diventano momento di crescita democratica le dispute ed i dibattiti argomentati, fin dalla scuola del’infanzia, dove i bambini imparano a fornire informazioni per spiegare le proprie opinioni, il proprio punto di vista. Nelle dispute argomentate i bambini diventano capaci di affrontare un argomento e cercare di approfondirlo esprimendo le proprie opinioni, ascoltando quelle degli altri, valutando ipotesi, operando scelte, cercando soluzioni condivise.

Discutere insieme, costruisce un sostegno cognitivo all’apprendimento di capacità argomentative e alla riorganizzazione delle conoscenze, e diventa quindi una risorsa fondamentale per imparare a ragionare e per sviluppare il pensiero critico . Come ricordava già Clotilde Pontecorvo: “Il processo mentale di chiarificazione progressiva richiesto ed attivato dalla procedura argomentativa, l’esigenza di coerenza interna e consequenzialità logica assegnano al testo argomentativo un valore formativo particolare” (Pontecorvo, Ajello e Zucchermaglio, 1991).
Ed ecco che cresce e si sviluppa il linguaggio, nell’esercizio quotidiano e consapevole, facendo crescere e maturare anche il pensiero, come Vygotskij ci ha insegnato. Se davvero è la lingua che ci fa uguali, ricordando ancora una volta don Milani, ecco è anche necessario che tutti sviluppino buone competenze linguistiche, primo requisito per permettere la piena partecipazione alla vita sociale democratica, per essere cittadini attivi e consapevoli.
Naturalmente non si può formare all’autonomia, alla collaborazione, alla responsabilità, al senso critico, alla cittadinanza attiva attraverso una valutazione in cui gli allievi siano soltanto produttori di oggetti o performance da misurare, all’interno della quale parametri e criteri, siano univoci e nascosti.
La valutazione autentica, allora, diventa uno degli assi portanti del processo di apprendimento / insegnamento; essa infatti si propone di superare l’idea di una verifica di controllo sui compiti svolti e sulle conoscenze possedute dagli allievi, per andare nella direzione di un tipo di valutazione formativa. Lo sfondo pedagogico-didattico è quello che si pone come obiettivo di verificare quanto si è progettato di insegnare ed apprendere, e di migliorare l’apprendimento e l’insegnamento, non solo di misurare in ottica quantitativa i saperi degli alunni. Prende avvio un percorso che, oltre a permettere una riflessione dell’insegnante sulla sua modalità di insegnamento, fornisce allo studente la possibilità di partecipare attivamente alla sua costruzione. Questo attiva un processo metacognitivo attraverso il quale vengono definiti prima i livelli di qualità dell’apprendimento sui quali lo studente sarà poi successivamente valutato ed in itinere si riflette ricorsivamente sul percorso. Egli potrà quindi controllare più precisamente il suo livello di comprensione e di apprendimento, oltre che essere in grado di valutarsi nell’azione corretta dell’abilità richiesta dal compito. Insieme si definiscono strumenti, tempi, criteri, modi della valutazione, gli alunni imparano ed esercitano l’autovalutazione e la co-valutazione. L’insegnante riflette sul suo operato, impara a riprogettare e ad autovalutarsi.

Con il coinvolgimento e la partecipazione degli alunni si assiste all’emersione delle diversità e alla loro valorizzazione: ognuno diventa consapevole del ruolo proprio e di quello degli altri. La valutazione qui diventa realmente significativa poiché gli alunni comprendono appieno le sue procedure, investono tempo ed energie per valutare il proprio lavoro, si appropriano del valore e della qualità dei propri elaborati.
La valutazione inoltre fornisce direzione all’apprendimento poiché permette di comprendere e correggere l’errore, di colmare le distanze che vengono rilevate negli apprendimenti; di avanzare al livello successivo di conoscenza , abilità e competenza.
Questa è la scuola dell’utopia? Forse. Ma spesso i sogni degli insegnanti fanno la differenza, accade ogni giorno, già in molte scuole, in un silenzio operoso, lontano dai tweet e dagli slogan.. Questo è ciò che dà il senso del far scuola a molti insegnanti, alunni e famiglie: l’idea che un mondo migliore sia possibile e che si possa iniziare a costruirlo entro le anguste ed universali pareti dell’aula.

Bibliografia

Milani L. (1967). Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, ed., 1996.

Pontecorvo C., Ajello A.M., Zucchermaglio C.. (1991). Discutendo si impara. Interazione sociale e conoscenza a scuola , Carocci.

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