La flipped classroom in chiave cooperativa

Ultimamente si sente molto spesso parlare di Flipped Classroom e sicuramente esistono siti e blog particolarmente interessanti anche in italiano (vedi sitografia), che contengono definizioni ed esemplificazioni per “capovolgere” (to flip significa proprio questo) la propria modalità di insegnamento.

Cos’è e come è nata la Flipped Classroom

Tutto è cominciato quando due insegnanti di chimica della scuola secondaria, Jonathan Bergmaan e Aaron Sams, si sono accorti che entrambi percepivano la propria attività come troppo meccanica e arida.
L’intuizione di questi insegnanti è stata che, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, i cicli continui di lezione a cui facevano seguito i più o meno soliti test di verifica sembravano limitare da un lato il tempo necessario per conoscere in profondità i propri studenti e capire i loro bisogni, dall’altro la possibilità di favorire davvero apprendimento e relazioni.
Di qui l’idea.
I due insegnanti nel 2007 hanno pensato di trovare questo tempo mancante spostando il momento dell’acquisizione dei saperi di base, cioè della lezione tradizionale, oltre l’aula e hanno scelto di responsabilizzare gli studenti proponendo come “compito a casa” l’utilizzo di materiali digitali in autoistruzione. Le lezioni sono state convertite in screencast, ovvero brevi video digitali composti da audio e sequenze di immagini e questo ha permesso di “dilatare” il tempo in aula, che è diventato disponibile per laboratori in piccoli gruppi e per seguire direttamente i singoli studenti attraverso un tutoraggio uno-a-uno.
I due chimici hanno poi condiviso sul web i video prodotti e hanno cominciato a raccontare la loro esperienza. I social network hanno fatto il resto diffondendo a macchia d’olio il modello e dando il via al movimento flip your classroom.
In Italia, nel 2012 con il seminario “Il fascino indiscreto dell’innovazione”, l’Associazione Docenti e Dirigenti scolastici Italiani ha contribuito in maniera determinante a diffondere nella scuola italiana la Flipped Classroom grazie anche al professor Tullio De Mauro che ne ha parlato in un interessante articolo apparso su “Internazionale”.
Come poi evidenziato da Graziano Cecchinato e Romina Papa nel loro testo (cfr. bibliografia), non si tratta in realtà di una vera e propria novità. Per chiarire il concetto che la lezione difficilmente produce reale apprendimento essi invitano gli insegnanti ad osservare attentamente due immagini, che sono facilmente reperibili in rete. La prima è Una lezione medievale di Laurentius de Voltolina (1350), la seconda è La scuola di Atene di Raffaello Sanzio (1510).

Il primo appare di una disarmante attualità: la classe è estremamente numerosa, i banchi disposti in file uno dietro l’altro, alcuni studenti attenti, altri che chiacchierano amabilmente, altri che spudoratamente sonnecchiano.
Nel secondo dipinto troviamo invece gruppi di studenti che discutono in piccoli gruppi, alcuni con l’insegnante altri no. Il fermento intellettuale che viene dal dipinto è quasi palpabile.

Queste brevi notazioni richiamano alcuni punti essenziali di una classe “capovolta” in cui la centralità non è più la lezione ma il tempo di lavoro e di approfondimento su quello che gli studenti possono imparare da soli con il supporto dell’insegnante (il riferimento è ovviamente alla “zona di sviluppo prossimale” già chiarita da Vygotskij).

Al di là di Vygotskij, inoltre il modello educativo-pedagogico di riferimento è quello del Mastery Learning (“apprendimento per la padronanza”) il quale punta a far ottenere il massimo livello di padronanza al maggior numero di studenti (se possibile alla loro totalità), nel rispetto dei ritmi e degli stili di apprendimento dei soggetti. I suoi presupposti, già chiariti da Bloom negli anni 70 si riferiscono all’idea è che la maggior parte degli studenti possa raggiungere un elevato livello di apprendimento se vengono create le condizioni favorevoli, adeguate alle caratteristiche e ai bisogni di ciascuno. In questo senso le differenze nell’apprendimento possono essere considerate un fenomeno che è possibile prevedere, spiegare e modificare, se ricondotto alle condizioni “ambientali”, cioè al sistema di istruzione scolastica e alle sue variabili.

E’ un’idea che non può non responsabilizzare moltissimo i docenti che molto spesso esprimono grosse perplessità rispetto ad un metodo che attrae (chi di noi non ha provato un senso di frustrazione e quasi sofferenza dopo una lezione, magari preparata con cura, in cui gli studenti “dormivano”?) e nello stesso tempo respinge (“Non si può rinunciare alla lezione frontale! Devono imparare l’ascolto questi ragazzi di oggi!”).
Ancora una volta il giusto sta, forse indubbiamente, nel mezzo. Non si tratta di demonizzare la lezione frontale, ma si tratta di avere i giusti strumenti per gestire situazioni sempre più complesse.
Tra queste c’è anche l’ipertestualità che caratterizza la modalità di apprendimento dei nativi digitali, che fanno sì che gli studenti di oggi abbiano la possibilità di utilizzare strumenti digitali che sono per loro la quotidianità e in cui già sono immersi costruendo, peraltro, interazioni.

Come funziona tecnicamente la classe capovolta?

Per chiarirlo si può dare un’occhiata a questo video in cui viene mostrato come i passaggi siano i seguenti:

  1. i ragazzi studiano a casa i video delle lezioni per apprendere in anticipo i contenuti dei corsi. Il compito dell’insegnante è quello di fornire degli stimoli adeguati attraverso video che possono essere autoprodotti o presi da altri siti, detti repository (se no trovano, ad esempio, sul sito di Rai Scuola o in www.flipnet.it o http://www.flippedclassroomrepository.it/ o canali youtube di vari insegnanti);
  2. poi in classe svolgono, in piccoli gruppi di cooperative learning, quelli che sarebbero stati i compiti per casa;
  3.  l’insegnante valuta continuamente il lavoro dei singoli e dei gruppi, premiando così la creatività più dell’apprendimento mnemonico e puntando ad evitare l’isolamento degli alunni demotivati o meno capaci e valorizzando le capacità delle eccellenze.
    Questo significa, in altri termini, personalizzare l’apprendimento.
    Indubbiamente un tale metodo di apprendimento non può essere improvvisato e richiede, prima ancora di un insegnante che conosca bene le nuove tecnologie (come dicevo sono sempre di più le risorse fruibili in rete, nonostante l’invito sia quello di cooperare, appunto, tra insegnanti per aumentarle sempre di più), un insegnante che sappia ben padroneggiare o almeno conosca le tecniche base dell’apprendimento cooperativo. Infatti, se il nodo dell’insegnamento capovolto sta in una classe che collabora cooperativamente, è necessario attivare il più possibile l’interdipendenza tra i membri partendo da sfide di apprendimento significative che possono coinvolgere tutta la classe.

Flipped classroom e apprendimento cooperativo

In questo senso è possibile vedere dei nessi tra Flipped Classroom e apprendimento cooperativo, in particolare rispetto all’apprendimento per ricerca (Group Investigation) e rispetto alla valutazione cooperativa di cui abbiamo già trattato in altre newsletter. La letteratura rispetto a questo è ancora abbastanza carente perché lo studio della Flipped Classroom, anche in chiave sperimentale è ancora in una fase iniziale. Tuttavia, studi come quello di Foldnes (2016), aiutano a comprendere bene la necessità di attivare la cooperazione in modo “consapevole” da parte dei docenti andando oltre il tradizionale “lavoro di gruppo”. La sperimentazione di Foldnes, condotta in alcune scuole norvegesi ha dato infatti risultati abbastanza chiari: sono state messe a confronto due classi in una delle quali la flipped classroom veniva “implementata” attraverso chiare attività cooperative e questa è stata quella in cui i risultati sono stati decisamente migliori.
Ecco quindi la necessità di de-mitizzare, forse, l’alone tecnologico che sta dietro questo metodo e che spaventa molto gli insegnanti. Essa può diventare una grandissima opportunità perché permette non solo di parlare il linguaggio dei nostri bambini e ragazzi ma permette loro di comprendere che questo linguaggio può essere utilizzato in più contesti. Sia per gli adulti che per i bambini essa quindi non può non rappresentare una grandissima opportunità. Ma soprattutto il mezzo rimane appunto quello che è, ovvero un mezzo e non un fine. Centrale rimane la possibilità di costruire collaborazione e cooperazione, di poter confidare nelle proprie possibilità di successo, comprendendo che il nostro personale successo non è strettamente condizionato dalla sconfitta altrui.
Come acutamente viene sottolineato da Andrich – Miato, infatti, in un testo che è quasi una poesia, “Non c’è responsabilità se non c’è libertà. Solo se si è liberi ognuno diventa responsabile delle azioni che compie, ma per far scattare lo “spirito di gruppo” occorre sentirsi responsabili anche di quello che il gruppo fa o non fa. E, per sentirsi liberi, occorre aver fiducia in se stessi, credere di poter risolvere i vari problemi che via via si incontrano nella vita, scoprire le proprie potenzialità e debolezze, avere sempre il desiderio di imparare e condividere con gli altri.
E ricordare che lo sviluppo di tali atteggiamenti passa anche attraverso l’apprendimento di abilità sociali che permettano di essere assertivi, disponibili verso gli altri, attenti al dialogo, consapevoli del valore degli altri e della forza di essere uniti”.

Bibliografia
Andrich Miato S., Miato L. (2003). La didattica inclusiva. Organizzare l’apprendimento cooperativo metacognitivo. Erickson, Trento.
De Mauro T., La scuola capovolta, Internazionale, n. 975, 16 novembre 2012
Cecchinato G (2016). Flipped classroom: un nuovo modo di insegnare e di apprendere. UTET, Torino
Maglioni M., Biscaro F. (2014). La Classe Capovolta. Erickson, Trento.
Foldnes N. (2016).The flipped classroom and cooperative learning: Evidence from a randomised experiment. In Active Learning in Higher Education, Vol 17, Issue 1, 2016
Sitografia
http://flipnet.it/
http://fabiobiscaro.altervista.org/flip/
http://www.flippedclassroomrepository.it

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1 Commento. Nuovo commento

  • Adriana Arcuri
    15 Gennaio 2023 07:21

    Trovo ottimo questo articolo. La vostra newsletter è preziosa e sollecito spesso i miei studenti universitari a visitare il vostro sito. Buon lavoro

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