Oltre i 15 anni di Cooperative Learning in Italia: Resoconto del Convegno di Trento

Si è recentemente (18/12/2013) svolto a Trento, presso il Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale il Convegno Internazionale “15 anni di Cooperative Learning and Cooperative Working in Italia e a Trento: incontro con i pionieri americani.” e Scintille.it vi ha partecipato. Erano presenti David e Roger Johnson della University of Minnesota di Minneapolis (Mn), Robert Slavin e Nancy Madden, della Johns Hopkins University di Baltimora (Md) e Yael Sharan del Group Investigation Project di Tel Aviv. Il Convegno ha voluto essere l’occasione per una riflessione sullo sviluppo del Cooperative in Italia a distanza di 15 anni da una precedente occasione di incontro promossa dalla medesima Università.       A metà degli anni ’90 infatti si sviluppa in Italia grazie all’apporto del prof. Comoglio dell’Università Salesiana di Roma la conoscenza del Cooperative Learning e l’Università di Trento, nel 1998, attraverso il prof. Chiari invita alcuni noti esponenti del Cooperative Learning internazionale. Scintille.it partecipa a quella prima edizione portando una ricerca sull’efficacia del metodo cooperativo nello studio della storia, confrontandolo con modalità di insegnamento più tradizionali.     Quest’anno l’iniziativa ha previsto un seminario-convegno su due giornate di incontri con i padri fondatori di tale metodologia, nelle quali ogni autore ha voluto proporre i suoi suggerimenti per il futuro.   Nella prima giornata i Johnson si sono soffermati sulla storia del Cooperative Learning nei termini di: 1. evoluzione delle radici teoriche, 2. sviluppo di procedure e modelli relazionali, 3. progressi nella ricerca sperimentale, 4. trasformazioni delle pratiche didattiche.     Robert Slavin ha illustrato nel dettaglio gli elementi del suo programma Success for All e dell’uso prevalente del medesimo nella costruzione del curricolo di lettura e scrittura nella scuola di base.     Yael Sharan ha invece posto la sua attenzione sull’uso del Cooperative in classi che vogliano diventare sensibili ovvero ricettive alla variabile culturale dei loro componenti. Nella sua esposizione ha mostrato come la cultura influenzi l’apprendimento ed ha quindi dimostrato come il cooperative per le sue tradizioni, per la sua varietà e per la valorizzazione della responsabilità individuale, possa essere considerato uno tra gli strumenti principe nella classe interculturale.     Nella seconda giornata Slavin ha esordito riportando alcuni dati a dimostrazione del miglioramento negli standard di apprendimento da parte di gruppi di studenti che avevano seguito pratiche di Success for All nella comprensione dei testi. In realtà sembrava non fosse stato informato che in Italia già da parecchi anni si lavora in Cooperative e che quindi la convinzione della notevole efficacia della metodologia cooperativa era già ampiamente consolidata.   Nel suo secondo intervento Yael Sharan ha chiesto ad una componente di Scintille.it di animare l’assemblea del pubblico formato dagli studenti della facoltà, perciò abbiamo avuto modo di collaborare fianco a fianco con una di questi grandi studiosi. Il focus dell’intervento partiva da un quesito: Perché il Cooperative Learning è caratterizzato da un divario tra “il dire e il fare”, tra un modello pedagogico promettente ed una pratica didattica problematica?   Secondo la studiosa il Cooperative è “un ombrello pedagogico che genera differenti modelli didattici, con i quali si organizzano gli studenti a lavorare in gruppo verso un obiettivo comune in modo tale che essi possano avere successo, solo se tutti contribuiscono alla realizzazione dell’obiettivo cognitivo e se si aiutano per completare il compito.“ Il Cooperative per Sharan produce questo divario (1) quando si travisano i suoi modellli (LT, SfA, GI) ma anche (2) quando lo si applica per poco tempo, o (3) non si dà abbastanza enfasi alle abilità sociali ed ancora (4) per la sottomissione ad alcuni vincoli culturali tipici del background degli insegnanti che lo utilizzano. Inoltre, non da ultimi, contribuiscono al divario tra il dire e il fare: (5) l’obbligatorietà dell’uso della metodologia – perché “gli insegnanti imparano dal Cooperative e non sul Cooperative” –  e (6) l’impossibilità di stabilire un equilibrio nell’apprendimento del metodo tra aspetti cognitivi-razionali e consapevolezza emotiva del proprio essere insegnante. Insomma “tutti gli insegnanti poco abituati all’introspezione e alla riflessione sul significato profondo della propria professionalità aumenteranno il divario tra teoria e pratica” e perciò anche la propria frustrazione per la scarsa auto-efficacia.     Nel loro secondo intervento i Johnson si sono invece soffermati sui passi per gestire il conflitto, in quanto considerano che lavorare con gruppi cooperativi renda inevitabile il conflitto stesso. Le azioni necessarie da essi evidenziate per gestire il conflitto sono tre: 1. creare un contesto cooperativo; 2. usare la Controversia per facilitare lo sviluppo di un pensiero flessibile e creativo; 3. avviare programmi di insegnamento per gli alunni in qualità di “costruttori di pace”.   In merito all’essere “costruttori di pace” hanno anche stabilito tre indicatori per identificare il grado di efficacia nella risoluzione costruttiva del conflitto. Un conflitto è risolto in modo efficace se a. entrambi  le parti in conflitto sono soddisfatte del piano di soluzione concordato; b. la relazione tra le parti è migliorata; c. le abilità di gestione dei conflitti si sono affinate. Per realizzare “costruttori di pace” sembra inoltre fondamentale la capacità di costruire rapporti di fiducia che include la consapevolezza che le conseguenze della propria azione potrebbero essere un beneficio o un danno per l’interlocutore, la coscienza che gli altri esercitano un potere personale nel determinare gli effetti della propria azione e che i danni nella relazione spesso sono più seri dei benefici, la speranza nel fatto che gli altri si comporteranno in modo affidabile e positivo per ognuno (Deutsch, 1958,1962).     Arricchiti da queste riflessioni le abbiamo portate a casa con noi per rivivere nelle nostre classi un clima che realizzi questi insegnamenti e riduca effettivamente la distanza tra il dire e il fare per “diventare – come diceva M. Gandhi – il cambiamento che vogliamo vedere attorno a noi”.

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