Un testo ‘pre-testo’ per ripensare alla nostra scuola di base

E’ ancora tempo di Indicazioni?

La pubblicazione di nuove Indicazioni (o programmi didattici) per la scuola rappresenta sempre un’occasione per reinterrogarsi sul significato dell’istruzione in una società che sembra distratta da altre ben più gravi questioni, e invita gli insegnanti a ridefinire il ‘senso’ del proprio lavoro educativo a scuola. Non è automatico che questo avvenga, perché ci sono altre (forze che condizionano il lavoro dei docenti: non solo i programmi ma, ad esempio, i libri di testo) le aspettative dei genitori, i rapporti con i colleghi, il sistema di valutazione (pensiamo alle prove Invalsi), le abitudini o le sicurezze personali, le sollecitazioni del dirigente e, soprattutto, le concrete condizioni in cui si svolge l’insegnamento.

La cautela, dunque, è d’obbligo. Tuttavia, disporre di quadri programmatici aggiornati, affidabili, condivisi (e riteniamo che il testo del 2012 abbia questi requisiti) può aiutare la scuola e meglio interpretare i suoi compiti, a ri-orientare le proprie pratiche didattiche, a ri-negoziare con gli utenti (siano essi i ragazzi, i genitori o la comunità in senso più ampio) la propria funzione e il proprio modo di essere.

 

Perché “nuove” Indicazioni?

C’era un’ esigenza giuridica dietro la revisione delle Indicazioni per il primo ciclo. Le precedenti, quelle di cui al D.M. 31-7-2007, scadevano il 31 agosto 2012, dopo 5 anni di onorato servizio, ma con una scuola di base affaticata da una forte riduzione di risorse (ma non solo). Non era immaginabile riscrivere ex-novo i fondamentali della scuola italiana (e chi mai si sarebbe arrogato un simile diritto?); era più credibile procedere a una manutenzione straordinaria del testo precedente che, tra altro, aveva riscosso una buona audience tra gli insegnanti, stando agli esiti del monitoraggio dell’autunno-inverno 2011 (v. C.M. 4-11-2011, n. 101).
Occorreva, dunque, inserirsi nell’alveo di quella elaborazione e farla evolvere per renderla più coerente con le domande che la società di oggi ci pone. Per farIo si è proceduto in qualche modo sotto traccia: un gruppo di redazione-di poche unità (di cui lo scrivente ha fatto parte) ha intessuto un fitto dialogo con esperti di didattiche disciplinari, con altri interlocutori nei vari campi del sapere, e con il mondo della scuola, attraverso modalità informali e formali (gruppi, incontri, focus).
L’esito di questo lavoro è stato sottoposto a una consultazione con le scuole, nel mese di giugno 2012 e oltre 5.000 scuole hanno espresso i loro orientamenti rispondendo a quesiti strutturati e inviando osservazioni libere (cfr. Nota MIUR 5559 del 5-9-2012). Ci sono poi state due pronunce del CNPI. Certo, si poteva fare di più, però il processo molto trasparente attivato, con la pubblicazione delle bozze in progress, ha assicurato una forma di dialogo e di condivisione, che va salutata con favore.

Novità e persistenze

Nel corso di questo processo sono emerse con maggìore nettezza le questioni in gioco, le nuove domande cui far fronte. Pensiamo alla dimensione interculturale della nostra scuola, alla pervasività delle nuove tecnologie, agli scenari istituzionali che vedono l’imponente presenza di istituti comprensivi, ai nuovi discorsi sulla valutazione, ecc. C’è un’eco di queste emergenze nel testo revisionato, che cerca di rispondervi con un linguaggio più semplice e comprensibile, mantenendo l’impianto delle Indicazioni/2007 (la premessa generale, i campi di esperienze per la scuola dell’infanzia, un ambiente di apprendimento unitario tra elementari e medie, con le discipline-del curricolo strutturate in verticale, per traguardi e obiettivi). Su questo impianto si stagliano alcune novità, come l’innesto delle finalità della scuola nel quadro europeo delle competenze-chiave; la definizione di un profilo del 14enne come impegno comune di tutti i docenti, dai 3 ai 14 anni; una migliore descrizione dell’organizzazione del curricolo e del profilo dei docenti, visti all’interno di una comunità professionale.
Emerge un quadro di riferimento più compatto e coerente, che a qualcuno sarà apparso fin troppo funzionalista nella sua sobrietà, ma che non è elusivo di fronte alle tante questioni che si affollano sulla scena della formazione di base.

I punti forti

Tra continuità e discontinuità trovano una loro collocazione alcune scelte di fondo:

  • la ricerca dell’ essenziale. Il curricolo viene curvato verso alcune discipline fondamentali, ad esempio la lingua e la matematica, per curare con più precisione l’acquisizione di strumentalità di base e di competenze fondamentali, come quelle di lettura e scrittura, comprensione, descrizione, argomentazione. La sfida vera è mettere al centro del curricolo queste abilità forti, senza impoverire la qualità della didattica
  • l’idea di curricolo verticale (anche in relazione alla generalizzazione degli istituti comprensivi). In particolare è sembrato opportuno andare oltre lo scontato principio della continuità educativa e impegnarsi invece in una ricerca più puntuale sulla progressione delle competenze, sulla ricorsività degli apprendimenti, sulla linearità o ciclicità di certi contenuti (si pensi alla questione dell’insegnamento della storia), sulla necessità di differenziare gli ambienti di apprendimento (il (cosa si fa in classe), in relazione all’ età, alle caratteristiche e alle motivazioni dei ragazzi);
  • l’enfasi sulle competenze (come orientamento a un apprendimento non esecutivo, ma dinamico, attivabile in situazione). Occorre capire quali implicazioni si aprono per la didattica, anche tenendo conto che nei monitoraggi più recenti sembra tornare in auge la lezione frontale. È evidente che condizioni più difficili influenzano negativamente il lavoro didattico, ma molto dipende anche dall’ atteggiamento culturale dei docenti. E poi, che cos’è veramente una ‘lezione frontale’? Forse bisogna scavare anche attorno a questo luogo comune;
  • l’impatto della valutazione (nei suoi aspetti di valutazione formativa, di rilevazioni nazionali, di certificazione) sulla vita della scuola e sulla didattica. È vero che in questi ultimi anni le prove Invalsi sembrano averla fatta da padrone; gli item a risposta multipla sono diventati i guardiani della qualità e del rigore della scuola italiana. Nessuna demonizzazione, per carità: ci danno informazioni utili, ma non rappresentano ‘tutta’ la formazione che si realizza a scuola. Anche in questo caso disporre di buoni programmi nazionali “tiene a freno” le invasioni di campo di una valutazione esorbitante. Ma, appunto, bisogna che i buoni programmi stimolino una buona didattica;
  • lo spostamento dai processi ai risultati degli apprendimenti (cioè la questione degli standard di rilevamento). La dicitura (“traguardi per lo sviluppo delle competenze”) che era contenuta nelle Indicazioni 2007 (e che è stata riconfermata) è un sapiente dosaggio di ingredienti tra di loro diversi: i traguardi indicano i risultati attesi, quasi degli standard formativi; lo sviluppo richiama il dinamismo dei processi, l’attenzione ai percorsi, ai contesti e alle motivazioni; le competenze riconducono a una parola chiave della scuola europea, tuttavia densa di una pluralità di significati. Designare i traguardi attesi al termine di un percorso educativo con questa locuzione lascia aperte molte strade, come forse è giusto che sia in una scuola di base che deve promuovere un rapporto positivo dei ragazzi con l’apprendimento, piuttosto che limitarsi a giudicarlo e misurarlo.

Dal testo ideale ai curricoli reali

I temi che abbiamo ricordato sono stati alla base del processo di revisione delle Indicazioni, con una doppia sottolineatura:

  • sull’ acquisizione sicura delle strumentalità di base e delle competenze essenziali nei saperi fondamentali;
  • sulla costruzione di ambienti di apprendimento più motivanti, basati sull’ operatività e la partecipazione degli allievi.

Ma quando dal design curricolare (steso sulla carta) si passerà ai curricoli reali (praticati a scuola) diventeranno fondamentali questioni quali l’organizzazione della classe, lo stile comunicativo degli insegnanti, una didattica di taglio laboratoriale, un maggiore ricorso alle nuove tecnologie, lo sviluppo di approcci cooperativi tra gli allievi, una maggiore flessibilità delle scelte. Serviranno risorse e quadri di riferimento nazionali più coerenti. Ma un insegnamento efficace diventa possibile anche se si sfruttano appieno le potenzialità dell’autonomia (da vivere nell’ottica di una comunità professionale) entro l’alveo tratteggiato dalle Indicazioni nazionali.
Spesso i docenti segnalano criticità nell’ organizzazione (risorse, tempi, precarietà): non possiamo ignorare questo disagio. L’impegno delle istituzioni dovrà essere orientato a:

  • aumentare le occasioni di ascolto, ricerca, confronto culturale sul valore della scuola di base;
  • promuovere diffuse azioni di formazione in servizio e di innovazione didattica;
  • offrire punti di riferimento culturali e fiducia professionale agli operatori della scuola.

L’operazione “nuove Indicazioni” per la scuola dell’infanzia e il l ciclo rappresenta (non tanto nelle prossime settimane, ma nei mesi a venire) un banco di prova perché ciò possa effettivamente realizzarsi.

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