Virtuale o reale? … Reale e virtuale? Questo è il dilemma

Recentemente (4/12/2012) si è svolto su Repubblica – e si poi diffuso in Facebook – un dibattito che ha visto come promotore il maestro Franco Lorenzoni, l’ideatore della Casa laboratorio Cenci in Umbria che da decenni offre  esperienze di apprendimento.
Porta il titolo “Appello perché bimbi e bimbe fino a 8 anni siano liberi da schermi e computer nella scuola”.
Hanno partecipato in molti.
Tra questi il “maestro” – ex sottosegretario all’Istruzione – Marco Rossi Doria con una lettera-saggio “Tradizione e innovazione per la scuola del XX Secolo”, la prof.ssa Maria Clotilde Pontecorvo – Professore Emerito di Psicologia dell’Educazione dell’Università di Roma “Sapienza” -, il prof. Francesco Tonucci – responsabile del progetto “La città del bambino” (città_dei_bambini@rpp.psicoped.rm.cnr.it), Fausto Fabbri, fotografo pubblicitario e cofondatore del mensile di interviste e foto “Una Città”, e moltissimi altri
In questa newsletter proponiamo il link al sito ove è riportato il dibattito perché vorremmo svolgere un effetto eco anche tra i nostri lettori, o per meglio dire,  effetto eco – ri – flessione.

La proposta di abolire schermi e computer nella scuola prima degli otto anni nasce dalla considerazione che i bambini – sottomessi, fin dalla più tenera età, ad un bombardamento tecnologico senza precedenti – moltiplicano le ore che, anche da molto piccoli, passano davanti a schermi di ogni misura. In realtà, afferma Lorenzoni “ben prima del diluvio tecnologico, dilagato in ogni casa e ogni tempo, bambine e bambini si sono trovati a fare i conti con adulti distratti. Ciò che sta cambiando radicalmente e rapidamente è che ora, nel reagire alle consuete distrazioni adulte, bambini anche molto piccoli trovano facilmente anche loro attrazioni altrettanto potenti.”
Alcuni concordano con lui, altri reagiscono dicendo “non posso condividere. è come dire niente Bic fino agli otto anni si continui ad usare la stilografica” oppure si pongono in maniera dubitativa e si chiedono: “”fino a 8 anni”; e a 9 anni il problema non esiste più? La “proibizione” degli “schermi” tecnologici a scuola non li renderebbe più desiderabili poi fuori della scuola? Non è forse l’abuso da controbattere, e non tanto l’uso? Con un uso corretto delle tecnologie, quali sono i vantaggi o gli svantaggi nello sviluppo mentale–emotivo-relazionale dei bambini?”
Ed è questa la linea che più condivido: preferisco sempre l'”e-e” (con i dovuti accorgimenti) all'”o-o”.
Chissà perché – mi chiedo – abbiamo bisogno di dicotomie. Chissà perché è così difficile l’integrazione, l’interdipendenza degli strumenti?
Quando ero studentessa al liceo mi sono sempre domandata perché nella filosofia a lungo si disquisisse tra idea e sostanza, tra res cogitans e res extensa, tra Natura e Cultura, tra Scienza ed Etica per poi giungere alla conclusione, solo dopo lungo argomentare, che tali dicotomie non avevano un valore in sé, se non quello, nel procedere della conoscenza, di esplorare meglio il versante sostenuto  da ciascuno e per questo comprenderlo meglio.
Solo allora si riusciva a dire che il passo in avanti stava nella sintesi, nel trovare la con-vivenza di entrambi i principi.
Nel dibattito Rossi Doria ci ricorda che “il passaggio alla tecnologia e all’informazione multimediale rappresenta uno dei più grandi cambiamenti della storia dell’umanità. Si tratta di una rivoluzione che cambia abitudini, comportamenti, distanze. Che cambia persino il funzionamento del cervello, della memoria, della concentrazione. E quindi cambia anche l’apprendimento”.
Osserva poi che il modo in cui  la scuola debba relazionarsi a questo grande cambiamento è tema centrale della riflessione pedagogica e culturale contemporanea che chiama in causa la visione della scuola e del suo ruolo nel XXI secolo”.
Mentre ciò accade, Rossi Doria ritiene sia necessaria “una nuova, grande alfabetizzazione del Paese” che può trovare nella scuola una palestra dove ci sia spazio insieme per “l’esperienza diretta che si va perdendo” …“e per le tecnologie”. Egli ritiene che spetta alla scuola usare in modo più ampio, intelligente, fantasioso le tecnologie perché “la testa ben fatta la si favorisce oggi  –  questa è la sfida  –  nei due modi insieme”.
Facciamo le due cose insieme.
Occorre nei prossimi anni fare una ricognizione di quanto realizzato, valutare …. E che ci sia una grande discussione nazionale che, senza chiusure preconcette, né ottimismo acritico, sappia individuare il ruolo che le nuove tecnologie per la didattica possono acquisire nelle diverse fasi evolutive.”
Negli ultimi tre o quattro anni nella scuola italiana è stato introdotto massicciamente l’uso della Lavagna Interattiva Multimediale, grazie anche ad una politica finalizzata da parte del Ministero dell’Istruzione. La LIM fa parte, oggi, della dotazione usuale di moltissime classi di scuola primaria e secondaria.
Noi di Scintille.it riteniamo che il rischio sia quello di far diventare la LIM l’ultimo ritrovato della tecnologia, che stupisce con effetti speciali e che rischia di cadere nel dimenticatoio dopo un primo utilizzo. Oppure che insegnanti e studenti si limitino ad utilizzarla in modo poco efficace come semplice sostituto della lavagna tradizionale, con qualche opzione in più. La conseguenza immediata sarebbe la trasformazione della lavagna interattiva in una sorta di comodo maxi schermo da utilizzare per una classica lezione frontale, pur dotata di potente multimedialità.
In sostanza cambiano gli strumenti, ma il metodo rischia di essere sempre quello: frontalità e gerarchia nella comunicazione.
Invece i nostri alunni hanno bisogno di stili di relazione circolare che permettano loro di essere “cittadini attivi e non turisti passivi” della scuola, hanno “sete e fame” di insegnanti che si discostino dall’apprendimento come mera trasmissione di contenuti.
Il rischio è che questa “rivoluzione” si traduca in un semplice uso di strategie educative che colpiscono l’attenzione degli alunni, si trasformi in una immersione in una realtà super-tecnologica che muta in continuazione e sforna ogni giorno nuovi prodotti high-tech  che  mantengono gli studenti ancora di più “sudditi” nel processo educativo di apprendimento.
A nostro parere deve cambiare la logica dell’utilizzo della tecnologia: la LIM come strumento attivo e non come semplice arredo da utilizzare alla maniera di una comune lavagna.
La LIM, in questo senso, può diventare un’ottima occasione di learning by doing o meglio ancora di cooperative learning by doing poiché mette tutti i partecipanti in grado di lavorare, secondo le proprie potenzialità e capacità, doti di creatività, riflessione e spirito critico. Ogni componente è responsabile e co-costruttore del processo di apprendimento, migliora la sua autostima, impara ad armonizzare, all’interno del gruppo dei pari, le differenti voci, si mette in ascolto dell’altro non per “integrarlo” ma per confrontarsi con la complessità del sapere imparando “ad apprendere dagli altri, a cooperare, a cedere le proprie conoscenze e a trasmetterle” [Levy, 1997], in sintesi ad apprendere reciprocamente.
Il passo che porta ad unificare Cooperative Learning e LIM è breve.
La LIM acquista valore educativo nelle nostre classi se diventa uno strumento interattivo utilizzato dagli alunni per costruire in modo originale, divertente il proprio percorso di apprendimento.
E’ necessario per questo tenere conto di tre aspetti fondamentali: il cambio di ruolo del docente che diventa tutor o coach nel processo di apprendimento, la pianificazione delle attività e una diversa concezione del fattore tempo.
Il risultato è spesso eccezionale e si percepisce dalla naturalezza con la quale ogni soggetto (studente o insegnante) ha potuto allenare e consolidare le otto competenze chiave di cittadinanza da acquisire al termine dell’istruzione obbligatoria (D.M.22/08/07-Allegato 2): “progettare, imparare ad imparare, comunicare, collaborare e partecipare, agire in modo autonomo e responsabile, risolvere problemi, individuare collegamenti e relazioni, acquisire ed interpretare l’informazione”.
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