Valore di una formazione esperienziale per i docenti in servizio

Come pianificare percorsi formativi efficaci e coinvolgenti? E soprattutto, cosa serve davvero perché i docenti possano trasferire in classe quanto proposto nei corsi di aggiornamento? Una ricerca su alcuni corsi di formazione in Trentino cerca di rispondere.

1. Oltre la lezione frontale

Ogni anno insegnanti in servizio di ogni ordine e grado si orientano verso differenti percorsi formativi per approfondire e migliorare la propria professionalità, con l’intento di aggiornarsi su tematiche direttamente connesse con le problematiche vissute quotidianamente in classe: come riuscire a gestire la crescente complessità? Come rendere protagonista ogni ragazza e ragazzo? Come motivare e facilitare l’apprendimento di ciascuno? Quali strategie utilizzare in presenza di bisogni educativi speciali (perché poi, in fondo, un po’ speciali lo siamo proprio tutti)?

La ricerca a livello internazionale evidenzia come la mancanza di un’adeguata formazione sia tra le principali cause dell’inefficacia dell’intervento dei docenti (OCSE, 2010), che utilizzano ancora nelle loro lezioni modalità prevalentemente trasmissive (Novara, 2017), nonostante sia risaputo che per apprendere non sia sufficiente solo ascoltare…

Ma come riuscire a promuovere davvero metodologie innovative a scuola? E soprattutto, quali metodologie caratterizzano i corsi di aggiornamento dei docenti?

Alcuni autori (Sharan&Sharan, 1987; Sharan, 2016) da anni attestano l’urgenza di percorsi esperienziali che permettano di impadronirsi di strategie attive indispensabili in una scuola sempre più complessa (Portera, 2016). E la stessa legge 107/2015 rende obbligatoria la formazione in servizio per una “crescita del capitale umano e professionale della scuola”e predispone un piano triennale che valorizza iniziative non frontali connesse con metodologie attive per una didattica inclusiva e collaborativa (MIUR, 2016), confermando la leva strategica attribuita alla formazione per un’innovazione educativa.

Ma cosa pensano i docenti? E qual è il reale impatto di percorsi esperienziali sulla pratica didattica in classe?

2. Una ricerca in Trentino

Partendo da questi interrogativi, vorrei condividere alcuni punti di forza e debolezza di un’esperienza formativa esperienziale sulle metodologie attive contestualizzata dal 2014 al 2017in Trentino.Le riflessioni che seguono sono tratte dal contributo scientifico che ho recentemente presentato al Convegno Nazionale dell’Associazione Italiana di Psicologia (AIP) – sezione Psicologia dello Sviluppo ed Educazione – a Torino il 17-19 settembre 2018 (Malusà, 2018a).

Come formatrice e psicologa scolastica ho proposto alcuni corsi di aggiornamento in 5 Istituti Comprensivi statali della Provincia. I corsi, approvati dal Collegio Docenti, erano a frequenza volontaria. Hanno partecipato complessivamente 142 docenti (N=88 di scuola primaria, N=18 di scuola secondaria di primo grado, N=6 educatori, N=30 NR) in servizio (10,5% da 1-10 anni; 25,2% da 11-20 anni; 64,3% >20 anni).Il numero medio di partecipanti in ogni percorso era di 20 soggetti (min=15; max=28).

Seguendo l’Experiential Learning Model (Kolb, 2014) ogni modulo formativo di 10 ore ha previsto la sperimentazione di giochi inclusivi (Platts, 2015; Malusà, 2018b), l’uso di alcune strutture (Kagan, 2013) e di modelli di apprendimento cooperativo (Cohen, 2014; Johnson, Johnson &Holubec, 1996). In ogni sessione di lavoro (della durata di 2-4 ore) le simulazioni sono state il punto di partenza (esperienza concreta) per stimolare osservazioni riflessive sui vissuti, con una successiva rielaborazione teorica dell’esperienza per facilitarne la trasferibilità in classe, come illustrato nella figura seguente.

Assumendo una prospettiva di ricerca e di autoanalisi, ho monitorato in particolare 7 corsi (della durata di 70 ore complessive) raccogliendo dati attraverso:
– un questionario anonimo di valutazione self-report (con domande aperte e su scala Likert a 5 punti), somministrato uscendo dall’aula e ritirato dal referente di ogni corso;
– un incontro di follow-up, osservazioni partecipanti, materiali prodotti e foto.

Con il supporto di SPSS21 ho analizzato i dati quantitativi raccolti, esplorando le frequenze di risposta (moda e media) e la relazione tra caratteristiche professionali (anni di servizio, qualifica, aree disciplinari) e variabili osservate (metodologia formativa, ricaduta didattica, competenze apprese).Tutti i dati qualitativi (incontro di follow-up, osservazioni partecipanti, risposte aperte del questionario, materiali prodotti e foto) sono stati trasformati in testo e nell’analisi tematica mi sono avvalsa del software NVivo10.

2.1 Che cosa è emerso dalla ricerca?

L’analisi dei questionari sottolinea:

– un alto gradimento delle simulazioni proposte, con materiali generalmente trasferibili nella prassi didattica;
– un incremento motivazionale verso le metodologie attive tra inizio e fine corso;
– un miglioramento della competenza professionale percepita, con una ricaduta operativa dichiarata più diffusa nella scuola primaria rispetto la secondaria, e nei docenti senior, senza una differenza significativa correlata alle diverse aree disciplinari di appartenenza.

I risultati statistici nel dettaglio sono disponibili negli approfondimenti citati (Malusà, 2018a).

L’analisi tematica evidenzia, inoltre, l’iniziale creazione di team collaborativi in un clima di fiducia reciproca, ma suggerisce la necessità di tempi maggiori di formazione esperienziale e di una personalizzazione degli interventi in base ai bisogni emergenti.

In particolare, negli incontri di follow-up i docenti sottolineano i seguenti elementi:

– valore della condivisione con i colleghi
– capacità di immedesimarsi nei vissuti
– possibilità di sperimentare e sperimentarsi, mettendosi in gioco come persone (crescita personale)
– crescente motivazione dei partecipanti
– clima di lavoro gioioso, sereno e accogliente
– iniziale creazione di un team di lavoro affiatato («amalgama» tra i partecipanti)
– equilibrio tra esperienza e rielaborazione
– approccio operativo coinvolgente e trasferibile in classe
– input creativo per elaborare nuove proposte
– richiesta di ulteriori spazi formativi esperienziali per approfondire il percorso
– difficoltà a introdurre questi percorsi nella scuola secondaria di primo grado

Gli stessi elementi si riscontrano anche nelle risposte aperte del questionario di valutazione finale. I termini maggiormente utilizzati dai partecipanti per definire i punti di forza del corso sono riferiti ad una dimensione di gruppo, di coinvolgimento personale attivo, in cui è stato possibile condividere piacevolmente esperienze e simulazioni, sperimentando direttamente proposte riproponibili in classe, come evidenzia la word cloud seguente,che riporta le prime 100 parole più frequenti di almeno 5 caratteri.

Molte frasi dei corsisti (scritte di seguito in corsivo tra virgolette) evidenziano anche la necessità che i percorsi esperienziali siano condotti da formatori preparati, “empatici”, “coinvolgenti”, capaci di “creare un clima sereno e accogliente, senza giudizi”. All’esperto si richiede “professionalità/competenza” e un’“offerta del metodo, chiara e convincente”. Ma non solo. Soprattutto “operatività e concretezza” radicate nel lavoro educativo a scuola, caratteristiche – queste – riconosciute nel conduttore del corso. E in tal senso anche i questionari confermano un alto grado di soddisfazione rispetto il suo intervento didattico e la sua capacità di relazionarsi con i partecipanti, senza una differenza significativa correlata al ruolo di appartenenza (docente di scuola primaria, secondaria o educatore).

I limiti del percorso, invece, sono riferibili soprattutto a dimensioni organizzative e temporali: gli insegnanti dichiarano di preferire interventi formativi calendarizzati nel mese di settembre, in quanto seguire un aggiornamento al termine di una giornata lavorativa con gli studenti risulta particolarmente pesante, come ben esprimono le parole di un educatore: «Preferirei concentrare gli incontri prima dell’inizio dell’anno scolastico […]. La mia stanchezza dopo otto ore di servizio diretto non mi aiuta a mantenere un’adeguata concentrazione». E la mancata partecipazione del 21.13% (N=30) dei corsisti nell’ultima sessione invernale testimonia tale difficoltà, dovuta ad eccessiva stanchezza o alla concomitanza con altri impegni scolastici, come riportato dai docenti presenti. Tre soggetti(2,11%) hanno preferito, invece, ritirarsi dal corso perché reputato troppo coinvolgente.

Un percorso di sole 10 ore, poi, non è ritenuto sufficiente per maturare adeguate competenze sociali e metodologiche. I docenti partecipanti, con una crescente consapevolezza,sentono la necessità di continuare la formazione. Chiara e Vittoria [nomi di fantasia] scrivono: «Serve sicuramente un ulteriore approfondimento per rendermi più sicura nelle proposte in classe»; e ancora: «Mi piacerebbe proseguire il corso per avere altri input e magari delle risposte alle ‘mille’ domande che mi pongo quotidianamente in classe». E –di fatto –3 collegi docenti su 5 coinvolti nella ricerca hanno deliberato la prosecuzione della formazione anche negli anni successivi.

3. Per una formazione in servizio efficace…

Oltre un livello descrittivo, dalla ricerca emergono alcune direzioni di senso che potrebbero essere considerate per promuovere una formazione in servizio più efficace.

A. I risultati presentati suggeriscono l’importanza di riservare tempo e risorse per promuovere percorsi attivi fondati su metodologie esperienziali, in quanto brevi percorsi riescono ad incidere solo marginalmente sulla prassi didattica.

B. La possibilità di personalizzare le proposte emerge come ulteriore elemento essenziale per pianificare percorsi formativi efficaci: gli interventi, calibrati in base alle richieste delle scuole, hanno offerto una prima risposta concreta ai bisogni formativi dei corsisti, che si sono iscritti scegliendo il percorso (non era un “aggiornamento obbligatorio”) e maturando una progressiva motivazione verso l’utilizzo delle metodologie attive, prima vissute e sperimentate direttamente, poi riproposte in classe. «Bisogna sperimentare ciò che si apprende per apprenderlo veramente!» osserva un’insegnante.

C. Dall’analisi sembrerebbe più semplice introdurre modalità attive di insegnamento nella scuola primaria rispetto la secondaria, in cui molti docenti lamentano un sistema organizzativo più rigido e con poche possibilità di programmazione condivisa con i colleghi.Tuttavia, costruendo team di lavoro coesi e collaborativi, con una progettazione partecipata, questo ostacolo potrebbe diventare in parte superabile, come emerge anche in ricerche precedenti (Malusà, 2017).

D. Risulta vincente, comunque, la scelta di utilizzare modalità cooperative per facilitare nei docenti competenze sociali, indispensabili per promuovere metodologie innovative in una classe complessa (Malusà, 2018c). Infatti,le competenze interculturali, richieste da tempo agli insegnanti da una ricca normativa nazionale ed internazionale, necessitano di una “specifica formazione anche esperienziale che permetta di impadronirsi di strumenti di mediazione e di leadership” (Malusà, 2016, p. 29).E le metodologie cooperative, focalizzate sull’insegnamento diretto delle abilità sociali, possono essere anche negli adulti un valido strumento per promuovere abilità relazionali, comunicative, di gestione di sé e del gruppo, di leadership, problem solving e di pensiero critico– come evidenziato in letteratura – abilità connesse non solo con i saperi, ma anche con il saper fare, saper essere e, aggiungerei, “saper pensare” (Dallari, 2018).

E. Infine, questi percorsi si sono rivelati possibili occasioni di crescita professionale e personale per i docenti, in un clima formativo gioioso e piacevole comprendente una più ampia visione di benessere.

Vorrei concludere con le parole di una corsista:

«Questa è stata non solo una formazione come professionista, ma ho portato a casa qualcosa di più profondo per me come persona, utile nella mia vita quotidiana anche fuori dalla classe… Servirebbero altri momenti formativi così… La scuola ne avrebbe proprio bisogno!»

Riferimenti bibliografici (in italiano)

Dallari, M. (2018). Editoriale. Encyclopaideia, 22(52), I-II.
Johnson, D., Johnson, R, & Holubec, E. (1996). Apprendimento Cooperativo in classe. Trento: Erickson.
Malusà, G. (2018a). Oltre la lezione frontale. Formare insegnanti competenti attraverso percorsi esperienziali di apprendimento cooperativo. Atti del Convegno Nazionale AIP, sezione Psicologia dello Sviluppo ed Educazione. Torino: Dipartimento di Psicologia, Università di Torino. Reperibile in
https://www.researchgate.net/publication/328049718_Oltre_la_lezione_frontale_Formare_insegnanti_competenti_attraverso
_percorsi_esperienziali_di_apprendimento_cooperativo
.
Malusà, g. (2018b). Giocando si impara: come costruire in classe un clima inclusivo. Scintille.it. Reperibile in https://www.scintille.it/giocando-si-impara-come-costruire-in-classe-un-clima-inclusivo/
Malusà, G. (2018c). Formazione esperienziale docenti. Intervista a Giovanna Malusà. Reperibile in https://www.youtube.com/watch?time_continue=213&v=aLSK2eju9yw.
Malusà, G. (2017). Pianificare percorsi di successo scolastico per studenti di origine migrante. Un mixed method study nella scuola secondaria in Italia. Tesi di dottorato, Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive, Università di Trento.
Malusà, G. (2016). Giocando si impara. I giochi di Findhorn come strumento di crescita personale e professionale per gli insegnanti. Ebook of abstracts. Giornate Nazionali di Psicologia Positiva, IX Edizione. Università degli Studi di Bologna (p. 29). Cesena: SIPP. Reperibile in
https://www.researchgate.net/publication/303809702_Giocando_si_impara_i_giochi_di_Findhorn_come_strumento_di_crescita
_personale_e_professionale_per_gli_insegnanti
.
MIUR. (2016). Piano per la formazione docenti 2016-2019. Reperibile in http://www.istruzione.it/piano_doce
Novara, D. (2017). Non è colpa dei bambini. Milano: Rizzoli.
Platts, D. E. (2015). Giochi che trasformano. Trovare l’armonia del gruppo e scoprire se stessi con il gioco – Prefazione di Lucia Giovannini e Nicola Riva. Bellaria: Libreria strategica.

Altre letture di approfondimento (in inglese)

Cohen, E., & Lotan, R. (2014). Designing Groupwork: Strategies for the Heterogeneous Classroom. Third Edition. New York: Teachers College Press.
Kolb, D. (2014). Experiential Learning: Experience as the Source of Learning and Development. FT Press.
Malusà, G. (2015). ‘Feeling all well in School’: how can we build inclusive processes in multicultural contexts? In Puebla, Andueza Pech & Pecha (Eds.), Salud intercultural.Creando puentes a partir de la investigación cualitativa (pp. 95-104). Merida, Yucatan: Unas letras industria editorial.
OCSE. (2010). Educating Teachers for Diversity: Meeting the Challenge. Educational Research and Innovation. Paris: OECD Publishing.
Portera, A. (2017). Intercultural Competences in Education. In A. Portera & C. Grant (2017). Intercultural Education and Competences: Challenges and Answers for the Global World (pp. 23-46). Newcastle (UK): Cambridge Scholars Publishing.
Sharan, Y. (2017). What Cooperative Learning Contributes to the Intercultural Classroom. In A. Portera & C. Grant (2017). Intercultural Education and Competences: Challenges and Answers for the Global World (pp. 173-186). Newcastle (UK): Cambridge Scholars Publishing.

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