Cooperare o non cooperare, questo è il problema a scuola!

Cooperative learningA me capita ogni tanto di chiedermi se sia il caso di collaborare o no quando sono al lavoro.
Se la mia tendenza ad offrire aiuto e collaborazione valga la pena.
Negli anni mi è accaduto di lavorare spesso in staff con altri e non è stato sempre facile. A fronte della mia disponibilità ho incontrato sovente diffidenza e aperta opposizione.

La stessa riflessione si allarga ai gruppi di formazione che seguo.
Trovo sempre insegnanti molto collaborativi, curiosi, aperti a condividere con i colleghi le loro idee e a partecipare alle attività cooperative previste dal percorso formativo. Ma trovo anche docenti che rimangono da parte, che siedono sul fondo o ai lati estremi dell’aula, che si attivano molto lentamente, stanno sulle loro.
So che questa descrizione può essere valida anche per classi di bambini della primaria o studenti della secondaria di primo e secondo grado.
Perché queste differenze esistono, da che dipendono?
Cooperare non è per niente semplice, né scontato. Quanto, come e se essere collaborativi è una decisione personale, basata sia sull’analisi della situazione in cui ci troviamo, sia fondata su attitudini, convinzioni ed emozioni non sempre totalmente consapevoli e sotto controllo.

In questo articolo vorrei approfondire proprio il ruolo che ha la personalità rispetto alla volontà e capacità di collaborare.

Cooperare o non cooperare?

Secondo la prospettiva di Claude Steiner (1974), psichiatra analista transazionale, il modo naturale di relazionarci al mondo è cooperativo, perché consente di avviare e mantenere rapporti di aiuto reciproco soddisfacenti per tutte le parti coinvolte, in cui ciascuno si considera ed è considerato come persona di valore a prescindere dal momento specifico di bisogno in cui viene a trovarsi.
Il problema è che questo tipo di relazione, alla pari, sana perché nutriente a livello psicologico, richiede competenze emotive e personali che solo raramente si ritrovano naturalmente. Piuttosto, l’educazione che riceviamo ci insegna presto che il modo di stare in relazione con noi stessi e con il mondo è quello in cui la subalternità è indispensabile, quello in cui si fa da soli o si compete, quello in cui si ha potere o non lo si ha.

L’individualismo che così spesso incontriamo comporta l’illusione dell’autosufficienza assoluta, dell’assenza di vincoli tra noi ed il resto del mondo. Se riusciamo oppure no nel perseguire l’obiettivo, il merito o la colpa sarà da ascrivere a noi stessi.
Tale atteggiamento che sembra avere risvolti positivi in termini di autonomia, di indipendenza e determinazione, secondo Steiner invece favorisce nella persona la tendenza all’isolamento, l’impotenza appresa e la paranoia, mentre a livello sociale sostiene l’oppressione e l’auto distruttività.

Occorre tenere ben presente la differenza tra individualismo, inteso come egoismo ed indifferenza verso gli altri, e individualità, cioè consapevolezza della propria unicità. La seconda è fondamentale per una sana cooperazione.

La competitività è legata all’individualismo. Se per riuscire dobbiamo farcela da soli, gli altri saranno per noi fonte di minaccia o di aiuto strumentale: in un mondo percepito come di scarse risorse, raggiungere il successo implicherà il doversi difendere dagli altri, il cercare di scavalcarli o di usarli in modo opportunistico.

“L’unica alternativa all’individualismo e alla competitività che abbia la potenzialità di produrre benessere è la collettività e la collaborazione sulla base dell’uguaglianza”
(Steiner, 1974, p.155).

La cooperazione è possibile quando rischiamo di aprirci al altro, di condividere le nostre risorse fisiche, mentali ed emotive, quando offriamo il nostro aiuto da una posizione di parità in cui l’altro è momentaneamente in difficoltà e in cui lo scopo della relazione è sostenerne la graduale autonomia.
Vale anche l’opposto: quando accettiamo l’aiuto in un momento di difficoltà, possiamo farlo sentendoci comunque degni e di valore.
In questi due casi la cooperazione che si attiva è sana, nutriente per tutte le parti coinvolte e porta al probabile superamento della crisi.

Uguaglianza, parità, collaborazione… approfondiamole dal punto di vista dell’Analisi Transazionale.

Cooperazione e posizioni esistenziali

Cosa vuol dire porsi in relazione con gli altri e da una posizione di parità? Sentirsi uguali ed essere considerati alla pari, anche nelle differenze individuali?
Eric Berne, fondatore dell’Analisi Transazionale, afferma che il bambino piccolo, agli inizi del processo di formazione del copione di vita, ha già assunto certe convinzioni – su se stesso, sulle persone che lo circondano, sul mondo e sulla vita in generale – che possono essere riassunte nelle quattro seguenti asserzioni, denominate posizioni esistenziali (1972):

  • IO SONO OK, TU SEI OK: posizione sana, basata sulla realtà. Affronto la vita e risolvo i problemi, faccio in modo di raggiungere gli esiti che desidero. Se ho queste convinzioni, il mio modo di relazionarmi con gli altri è proattivo, mi avvicino, mi esprimo chiaramente, mi aspetto che gli altri facciano lo stesso. In caso di disaccordi cerco una soluzione che comporti vantaggi per tutti.
    Ecco, questa posizione esistenziale è alla base della capacità naturale di cooperare. Ma se, come afferma Steiner, veniamo educati non all’uguaglianza e alla individualità, ma alla subalternità e all’individualismo, allora la posizione esistenziale sarà diversa. Queste le altre possibilità.
  • IO NON SONO OK, TU SEI OK: tendenza a vivere partendo dalla posizione depressiva di sentirsi inferiore agli altri. Il mio mondo sarà fatto di inadeguatezza, espressa o nascosta, di compiacenza nei confronti di chi mi sembra migliore. Senza rendermene conto sceglierò delle sensazioni negative e dei comportamenti ripetitivi che confermino questa posizione. Nello scambio con gli altri, in caso di problemi, tenderò a ritirarmi, a rinunciare al confronto. Questo è un esempio di subalternità molto ben appresa.
  • IO SONO OK, TU NON SEI OK: giudicherò me stesso come migliore degli altri, anche solo per poco, cercherò di proteggere questa idea e di rimanere superiore agi altri, che naturalmente vanno criticati, svalutati, disprezzati. Tendenzialmente userò gli altri e poi me ne libererò quando non mi saranno più utili.
  • IO NON SONO OK, TU NON SEI OK: posizione di inutilità, di disperazione, di svalutazione di qualsiasi aspetto della vita. E se non c’è niente da fare con gli altri e con me, che senso ha darsi da fare?

A livello profondo abbiamo una posizione preferita, che cambia solo grazie ad esperienze molto potenti, quali ad esempio la terapia personale o occasioni educative positive non occasionali.
A livello relazionale, in una giornata ci capita di attraversarle tutte, ma anche in questo caso una è la preferita (White, 1994).

Considerando che ciascuno di noi, adulto o bambino, impara presto come mettersi in relazione con se stesso e con il mondo, come fare?
Per cooperare occorre coltivare la prima posizione, mentre quello che capita molto frequentemente è di trovarci in una delle altre.

Interdipendenza positiva e okness

La relazione di dipendenza reciproca (interdipendenza sociale) viene sviluppata concretamente dall’insegnante in base al modo in cui organizza gli scopi di apprendimento: può favorire competizione, cooperazione o lavoro autonomo. Ciò che occorre stimolare è interdipendenza positiva, dove nei gruppi di studio tutti sentono di essere legati gli uni agli altri per avere successo nello svolgimento del compito assegnato.
Se sento di avere bisogno del compagno per raggiungere il mio obiettivo, allora mi comporterò in modo tale da sostenerlo e collaborare: il tuo successo è il mio, e viceversa.
Ciò porta allo sviluppo di due tipi di responsabilità: la prima è che devo fare il mio massimo e che devo portare gli altri a fare del loro meglio.
Questa modalità relazionale viene concretamente costruita dall’insegnante mediante due tipi principali di strategie: l’interdipendenza di obiettivo/risultato e l’interdipendenza di risorse/mezzi. Sviluppo la prima dando al dare uno scopo comune e riconoscendo un premio per il lavoro svolto. Costruisco la seconda suddividendo i materiali e le risorse necessarie per il compito tra i membri del gruppo, assegnando ruoli utili allo svolgimento dell’attività e al mantenimento delle relazioni.

Come l’interdipendenza positiva stimola esperienze individuali di okness?

L’interdipendenza positiva implica che il successo di uno sia legato al successo degli altri del suo gruppo.

  • TU SEI OK: rimanere dell’opinione che l’altro non vada bene (tu non sei ok) non aiuta a risolvere il compito assegnato al gruppo, quindi si è portati ad avvicinarsi al compagno, anche quello non tanto gradito, a collaborare e trovare soluzioni che portino al risultato atteso. Ciò comporta la possibilità di conoscere i compagni non attraverso stereotipi e preconcetti ma attraverso il fare. E poiché l’assegnazione di ruoli e compiti da parte dell’insegnante è attenta alle caratteristiche e ai talenti dei singoli, è probabile che nel lavoro di gruppo si possa riconoscere quanto di buono il compagno può fare che invece nel contesto tradizionale della classe non sempre emerge.
  • IO SONO OK: altrettanto vale per la convinzione di non essere in grado (io non sono ok): è difficile rimanere da parte quando gli altri del gruppo stimolano a provare, ad esprimersi, a fare insieme. E di solito capita di avere successo, nutrendo quindi la convinzione opposta. Attraverso il gruppo si sperimentano più possibilità di fare, in un’atmosfera di accettazione e sostegno che nutre l’autostima.

Quale soluzione a scuola?

Inevitabilmente, occorre pensare ad una modalità di gestione della classe che tenga conto degli aspetti psicologici individuali e delle dinamiche di gruppo che in classe si attivano.
Il docente non è uno psicologo e non deve esserlo. E’ tuttavia responsabile dell’apprendimento dei suoi allievi e della loro crescita nelle competenze sociali.

Una chiave possibile per favorire esperienze positive in classe è la consapevole progettazione dell’esperienza di apprendimento, che può sostenere per tutte le persone coinvolte la sperimentazione di una posizione relazionale sana: Io sono ok, tu sei ok.
Come? Attraverso l’organizzazione del contesto di apprendimento mediante il cooperative learning e altre metodologie didattiche attive e partecipative.
Il Cooperative Learning è un insieme di tecniche di conduzione della classe che “utilizza i piccoli gruppi in cui gli studenti lavorano insieme per migliorare reciprocamente il loro apprendimento (Johnson, Johnson, & Holubec, 1996, p. 19).
Attraverso l’efficace utilizzo di tecniche didattiche cooperative, in classe ogni allievo è sollecitato a condividere informazioni e obiettivi, anche con chi non vorrebbe e quindi a confrontarsi implicitamente con la propria visione di sé e degli altri.

Se vuoi approfondire questa metodologia attiva partecipativa, guarda questi corsi:

Cooperative learning base

Progettare lezioni con il cooperative learning: basi essenziali – corso online

Conclusioni

Tra i commenti che fanno gli insegnanti alla fine di un corso sul Cooperative Learning trovo sempre molti che sono stupiti di come si siano trovati bene con colleghi che conoscevano poco, su cui avevano a volte pregiudizi. Si stupiscono di quanto facilmente si crei un’atmosfera positiva mentre si lavora molto alacremente per raggiungere obiettivi sfidanti.
Se prima c’era una modalità di relazione tra colleghi competitiva o individualistica, dopo il corso le cose cominciano a cambiare. La cooperazione viene sperimentata come modalità possibile.
Invito sempre i docenti dei miei corsi ad “indossare il cappello dello studente”, a mettersi in gioco nel corso, a provare e sperimentare le tante tecniche cooperative che mediano l’apprendimento dei contenuti. Il vissuto emotivo colora l’esperienza e consente loro di cogliere appieno le potenzialità di questa metodologia attiva che mette al centro la persona e i suoi talenti sostenendo l’okness.
Solo sperimentandolo questo diventa davvero chiaro.

Vale per gli insegnanti. Vale per i bambini e i ragazzi a scuola.
Provare per credere.

Se vuoi approfondire il cooperative learning con una lettura, acquista “Cooperative learning: istruzioni per l’uso“, disponibile anche in ebook e con webinar di accompagnamento.


BIBLIOGRAFIA
Berne E. (1972). What do you say after you say hello, New York: Grove Press (tr.it. “Ciao!”… e poi?, Milano: Bompiani, 1979).
Johnson, D., Johnson R. e Holubec E., Apprendimento cooperativo in classe. Erickson Trento 1996
Steiner, C.M. (2009). The Heart of the Matter: Love, Information and Transactional Analysis
Steiner, C.M. (1974). Scripts people live. New York: Grove Press (Tr. it. Copioni di vita. Milano: Edizioni la Vita felice, 1999)
White, T. (1994). Life positions. Transactional Analysis Journal, Volume 24, Number 4 (October 1994), p. 269-276.

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