Non giudicare sbagliato ciò che non conosci,
cogli l’occasione per comprendere.
(Pablo Picasso)
di Mimì Pino (Luglio 2018)
Lo scorso anno ho avuto l’opportunità di lavorare per circa 10 mesi all’interno del progetto SPRAR della mia città, gestito dall’associazione “I Girasoli ONLUS”. Parlo di opportunità perché la considero una delle esperienze di crescita personale più importanti per me, tanto bella quanto faticosa.
Il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) è il servizio del Ministero dell’Interno che gestisce i progetti di accoglienza, di assistenza e di integrazione dei richiedenti asilo a livello locale, in collaborazione con il comune del paese che lo ospita. Quella dello SPRAR è un’ “accoglienza integrata”, che va al di là di vitto e alloggio e prevede attività di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico.
Il contributo che mi è stato richiesto era quello di fornire una prospettiva di intervento orientata all’empowerment dei beneficiari, al raggiungimento di una condizione di maggiore emancipazione ed autonomia rivolta al futuro. Si trattava, dunque, di strutturare un percorso di sostegno che li accompagnasse a rimettere in azione le proprie risorse e la propria resilienza per organizzare il proprio progetto di vita, valutarne la concretezza e la fattibilità, gestire la futura fase di uscita dalla struttura. Obiettivo per nulla scontato, ancor più se si tiene conto del faticosissimo processo di rielaborazione delle sofferenze e delle lacerazioni derivanti dal percorso migratorio.
Il gruppo era costituito da 15 giovani uomini provenienti da diversi paesi dell’Africa. Al momento del mio arrivo, tutti loro avevano già sostenuto l’audizione alla Commissione Territoriale ed erano in attesa di conoscerne l’esito – la Commissione può decidere di garantire al richiedente una protezione, e quindi una certa stabilità, oppure può formulare un giudizio negativo, costringendo il richiedente asilo che voglia portare avanti la sua istanza a presentare un ricorso. Nel frattempo, partecipavano alle diverse attività previste dal progetto SPRAR.
Il primo passo è stato quello di conquistare la loro fiducia e stabilire con loro una relazione positiva. Le prime occasioni di incontro sono state “pseudo-casuali”: frequentando la struttura al mattino, durante le ore di lezione di italiano e in collaborazione con l’insegnante, ho cercato di creare momenti di incontro in spazi informali e improvvisati, fuori dal setting definito del colloquio psicologico. Tra l’altro, l’osservazione delle dinamiche agite all’interno del gruppo-studio è stata un’ottima fonte di spunti e informazioni che mi hanno permesso di calarmi meglio nella realtà di ciascuno attraverso l’esplorazione delle loro modalità relazionali.
L’iniziale diffidenza era più che comprensibile: come dice Tahar Ben Jelloun, “si è sempre lo straniero di qualcuno” e, in quel momento, io ero la loro straniera.
Avevo davanti persone spaesate, catapultate in un nuovo complesso sistema sociale e culturale spesso tutt’altro che ospitale. In questo contesto, era fondamentale ricreare un clima accogliente, che trasmettesse serenità, rispetto e fiducia.
Mi è capitato più volte di incontrare delle resistenze nell’”affidarsi”, di fronte alle quali ho continuato a proporre occasioni di incontro in spazi informali, spesso di fronte a una tazza di tè o durante una passeggiata fuori dalla struttura. Ogni spazio è uno “spazio emotivo”: da incontri non ufficiali e non programmati sono nate relazioni efficaci, fondate sull’ascolto empatico e partecipato delle problematiche e dei vissuti.
La maggior parte dei ragazzi vedeva il proprio futuro avvolto da una totale incertezza – il periodo di attesa dell’esito della Commissione Territoriale, generalmente, dura diversi mesi, determinando una fase di stress e frustrazione. Questa situazione critica andava ad aggiungersi allo stress provocato dal lungo viaggio migratorio, di per sé un momento contraddittorio in cui si incontrano/scontrano sofferenza e aspettative: da un lato la separazione rispetto al contesto familiare, affettivo, sociale e culturale originario, la partenza, il viaggio; dall’altro l’arrivo, l’incognito, la speranza di un futuro migliore e di una nuova vita.
Come i documenti, anche l’identità personale era in un certo senso sospesa, ciò causava uno stato d’inerzia e di blocco. I rischi da cui erano fuggiti non c’erano più, ma non c’era nemmeno un contesto stabile, né una prospettiva definita.
Per iniziare a lavorare in maniera propositiva su questo aspetto, all’interno del progetto si è fatto di tutto per stimolare la raccolta delle energie necessarie a far fronte, nell’immediato, alle diverse difficoltà che si presentavano.
L’obiettivo, in quel momento, era quello di creare un po’ di stabilità in una situazione totalmente provvisoria, ripartendo da loro e dalla ricostruzione delle loro competenze personali, attraverso un percorso di orientamento volto a supportare i ragazzi nella formulazione di un proprio progetto di vita personale e professionale.
Abbiamo lavorato insieme per riconoscere risorse e aspettative di ciascuno, per individuare i punti di contatto tra le loro competenze, capacità e attitudini e le opportunità di lavoro presenti sul territorio, ed impostare un percorso realistico e sostenibile, volto a facilitare l’integrazione socio-lavorativa.
Sul piano pratico, il lavoro si è tradotto nella possibilità di intraprendere un project work, un tirocinio retribuito della durata di tre mesi presso una delle aziende del territorio che avevano accordato la propria disponibilità. Il project work si è rivelato spesso un ponte con il tessuto socio-lavorativo: talvolta la collaborazione intrapresa è proseguita con un’assunzione, consentendo al beneficiario l’uscita dal progetto e l’inizio di una nuova vita; in altri casi, ha costituito l’opportunità di accumulare un minimo di risorse economiche da utilizzare per andare altrove, una volta usciti dal progetto. Al di là di tutto, l’impegno nel project work è stato fondamentale in quanto opportunità per recuperare fiducia in se stessi e consapevolezza rispetto alle proprie competenze ed abilità, per uscire dalla struttura ed interagire con la società, per iniziare a ricostruire, passo dopo passo, la propria identità personale.
Nell’ambito dei percorsi di orientamento abbiamo utilizzato il bilancio delle competenze per attivare l’operatività della persona, per portarla a riflettere sulle proprie abilità, sulle proprie risorse spendibili nel mercato del lavoro. Accanto alla sezione riguardante la ricostruzione delle esperienze personali, formative e professionali, il bilancio di competenze prevede una parte sulle competenze trasversali (ascolto attivo, trasformazione del conflitto in dialogo, etc.) e sulla consapevolezza dei propri punti di forza e delle proprie aree di miglioramento. Questo aspetto si è rivelato particolarmente difficile da affrontare con la maggior parte dei ragazzi, in primis a causa di fattori diversi relativi alla cultura di appartenenza, e poi perché non tutti (e non sempre) erano disposti a rendersi “vulnerabili” parlando di aspetti di sé che potevano in qualche modo esporli a giudizio.
Per gestire questa criticità, i colloqui individuali sono stati convertiti in attività in piccoli gruppi cooperativi di persone che in quel momento condividevano un obiettivo, un corso, una fase del progetto, frequentavano la stessa scuola, stavano ultimando il tirocinio.
Il gruppo in cooperative learning come risorsa per la relazione
Il gruppo si è svelato un una risorsa preziosa e autoalimentante. Per il tempo che passavamo insieme, ciascuno di noi usciva dal suo ruolo: io non ero “un’operatrice” e i ragazzi non erano “beneficiari SPRAR”, ma eravamo rispettivamente facilitatrice e partecipanti attivi di un gruppo di discussione.
Le modalità comunicative cambiavano e contribuivano a creare un clima di ascolto e di astensione da ogni giudizio. La possibilità di portare avanti una riflessione condivisa su alcuni dei temi proposti, supportata dall’utilizzo di strutture del cooperative learning (di fatto, quello che abbiamo ricreato è stato una sorta di Circle Time), ha effettivamente reso più fluide la comunicazione interpersonale e la riflessione sui propri vissuti interiori, e le dinamiche interpersonali che si sono attivate hanno alimentato il gruppo stesso. Le relazioni aiutano a condividere le esperienze, a dar un nome alle emozioni, a migliorare la capacità di ascolto.
La scuola come comunità educante inclusiva
Perché ci sia integrazione, è imprescindibile creare un tessuto socio-culturale accogliente, che possa contare sugli strumenti necessari per imparare a considerare la diversità come ricchezza, piuttosto che come minaccia. In questo contesto, la scuola gioca un ruolo decisivo: in quanto comunità educante, da un lato ha il compito di insegnare ad apprendere e dall’altro quello, altrettanto fondamentale, di insegnare ad essere.
A questo proposito, il progetto “L’uomo nero racconta…” ha rappresentato un esempio di buone pratiche di connessione scuola-territorio. In sinergia con due associazioni (“Ossidi di Ferro” e “Anymore Onlus”), lo SPRAR ha intrapreso un percorso educativo all’interno di alcune scuole per l’infanzia: educatori esperti in pedagogia interculturale hanno condotto dei laboratori associati a letture animate aiutati da alcuni ragazzi ospiti dello SPRAR, che si sono raccontati utilizzando il gioco e le abilità creative. Il percorso, nato all’interno del contesto di accoglienza, prosegue tutt’ora al di fuori del progetto SPRAR grazie alle realtà associative che l’hanno promosso e alle scuole che lo hanno accolto con entusiasmo.
Iniziative di questo tipo educano a stabilire relazioni interpersonali improntate alla disponibilità e alla fiducia, per aprirsi ai nuovi mondi possibili considerandoli – come disse Einstein – “un arricchimento della nostra esistenza”.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
- Johnson D. W. /Johnson P. S., (1996) Apprendimento cooperativo in classe: migliorare il clima e il rendimento, Erikson
- Evangelista L., (2008c) Cos’è il bilancio di competenze? https://www.orientamento.it/indice/cose-il-bilancio-di-competenze/
- Servizio centrale SPRAR (2015) Manuale operativo per l’attivazione e la gestione di servizi di accoglienza integrata in favore di richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria http://www.sprar.it/wp-content/uploads/2016/06/SPRAR_-_Manuale_operativo_2015.pdf