Lo sportello di ascolto nella scuola: un’esperienza utile… e non solo agli studenti – Parte 2

Lo sportello di ascolto nella scuola, orientamentoCome abbiamo visto nella prima parte di questo articolo, la scuola, dopo la famiglia, è la principale sede di formazione e di socializzazione dell’individuo. Per questo diventa uno dei perni su cui far leva nella promozione del benessere psicofisico ed emotivo degli studenti.

La scuola è un prezioso osservatorio dei processi di crescita e delle fatiche ad essi correlate, in quanto abbraccia tutto il periodo dell’adolescenza, momento in cui “l’identità si gioca nel divario fra il non sapere ciò che si è e la paura di non riuscire ad essere ciò che si sogna” (Galimberti, 2007). Gli adolescenti a scuola sperimentano l’incontro con l’altro, imparano a convivere ed instaurare relazioni ed iniziano a costruire una nuova immagine di sé, attraverso i riscontri derivati dalla vita scolastica sul piano relazionale, comportamentale e degli apprendimenti.

L’ESPERIENZA DI MARCO RACCONTATA ALLO SPORTELLO DI ASCOLTO: IL “RI-ORIENTAMENTO”.

Mi è capitato, non di rado, di dedicare spazio ad una riflessione mirata alla capacità di orientarsi nella scelta del percorso formativo nel corso del quinquennio, perchè emerge il sentore che la scuola scelta non sia quella “giusta”.

L’orientamento è un’attività di sostegno che aiuta lo studente ad affrontare un processo decisionale e a fare una scelta consapevole. Nel colloquio, stimolo un atteggiamento Adulto e responsabile, per favorire la partecipazione e la motivazione, da una posizione paritetica, io sono Ok – tu sei Ok (Harris, 1971) in cui ciascuno degli interlocutori mette in risalto positivamente se stesso, dando al contempo valore all’altro. Credo che questo sia un punto di forza nell’instaurare una relazione autentica e nel consentire all’altro di imparare a comunicare in modo chiaro e costruttivo. Tutto questo è stato utile a Marco1 e ha reso possibile l’attivazione di una buona sinergia all’interno della Scuola tra il Dirigente Scolastico, gli insegnanti e alcuni collaboratori scolastici che, come spesso accade, diventano dei punti di riferimento “informali”.

Marco è iscritto al primo anno di una scuola secondaria di secondo grado e si è trovato nei primi mesi alle prese con una “notevole” quantità di “materie nuove” da studiare, compito che gli appariva “insormontabile”. È arrivato allo Sportello di ascolto grazie al lavoro di squadra svolto dai suoi insegnanti, che dopo aver osservato una difficoltà generale “nello stare al passo” con il rendimento generale della classe, si erano resi disponibili al ascolto. Lo studente ha così potuto condividere la sua difficoltà e le sue perplessità e formulare la sua richiesta di aiuto.

All’inizio appariva irrequieto, svogliato, disinteressato, ma presto si è mostrato aperto e disponibile alla riflessione e al confronto. In un clima di accoglienza e di accettazione incondizionata, sono emersi i dubbi e la paura di aver scelto la scuola “sbagliata” associata alle difficoltà nel vivere un “contesto nuovo” (la scuola secondaria di II grado), sia per l’aspetto didattico sia per quello relazionale. Oltre al passaggio scolastico, Marco aveva cambiato città e “perso” alcuni amici.

Il mio lavoro è stato quello di esplorare insieme a lui le sue difficoltà e i suoi timori, favorendo una riflessione su se stesso, sui propri interessi, sulle proprie attitudini e abilità, sulla capacità di gestire i cambiamenti e di operare delle scelte.

Ho accolto e compreso dubbi e timori di Marco e lui, come di fronte ad uno specchio, ha potuto fare la stessa cosa. Si è sentito riconosciuto nella sua difficoltà e così si è espresso liberamente, verbalizzando sentimenti ed emozioni legati ai tanti cambiamenti vissuti in un breve arco temporale: la scelta di orientamento scolastico, il passaggio dalla scuola secondaria di primo grado a quella di secondo grado, il cambio di residenza, gli amici vecchi “persi” e quelli “nuovi” non ancora trovati, il cambio di lavoro del papà. Condividere tutto questo con me, lasciando fuori dalla stanza il “giudizio” legato ad una presunta scelta “sbagliata” (la scuola) e ancor di più all’apparente incapacità di elaborarne “di nuove” per stare meglio, ha permesso al ragazzo di accettare la fragilità di quel momento.

“Essere fragile vuol dire essere prezioso, l’ho sentito da qualche parte” mi ha detto una mattina Marco.

Vedersi con “occhi nuovi”, con occhi “più comprensivi” gli ha consentito un’accettazione autentica di sè e favorito l’autoascolto e l’autoesplorazione. Il modo in cui la persona guarda se stessa è un fattore molto importante per predire il suo comportamento futuro (Rogers, 2007). “Leggendo” in prima persona il proprio vissuto, Marco ha potuto poggiare da una parte il “macigno” che si portava dietro, osservarlo e volgere lo sguardo anche intorno. Così ha lasciato affiorare le idee nuove e ha potuto trovare alternative per “aggiustare il tiro” e “diradare la nebbia”. Accogliere il dolore, la fatica e la solitudine ha permesso a Marco di attingere alle sue risorse, dando un significato alla sua esperienza, senza svalutarla e senza “criticarsi”. Ha iniziato a pensare e proporre alternative su cosa fare e questo gli ha dato la sensazione di “essere capace”, di saper scegliere il meglio per sè, nutrendo l’autostima che in quel periodo sembrava non esserci. Il sostegno, attraverso un ascolto attivo ed empatico, gli ha permesso di guardare sè e la sua difficoltà da un’altra prospettiva e gli ha consentito di acquisire strumenti per agevolare il suo cammino, di avere una maggiore fiducia in sé e nella propria capacità di fronteggiare situazioni di crisi, formando un’identità più forte e più capace di autonomia.

È stato molto utile il lavoro preparatorio svolto da tutto il corpo docente e, in particolare, dal Coordinatore di classe che ha “visto” e sostenuto Marco assieme ai colleghi. Questo ha consentito allo studente di sviluppare un rapporto più sereno con la vita scolastica e con lo studio e ha facilitato l’assunzione di atteggiamenti positivi nei confronti di se stesso e del contesto-scuola.

Il «ri-orientamento», rispetto alla scelta della scuola frequentata e rispetto al percorso post-diploma, è stata un’altra area di intervento importante dello Sportello: un indispensabile momento di riflessione per favorire l’acquisizione di fiducia nelle proprie capacità e affrontare lo studio in modo più proficuo.

UNO SPAZIO UTILE AGLI INSEGNANTI.

Gli adolescenti si pongono tante domande sulla propria esistenza e nel tentativo di rispondervi hanno bisogno di sperimentare se stessi, in questa età “sospesa”, di uscire da norme e schemi consolidati, di trasgredire, di tentare nuovi percorsi se pur pericolosi (Caprara, Fonzi, 2000). La scuola richiede impegno e questo può comportare una quota di frustrazione negli studenti, che va accolta ed elaborata. Spesso è anche lo spazio in cui essi si attivano facendo emergere atteggiamenti di sfida tipici dell’età e potenziali disagi emotivi.

Lo Sportello però può essere un’esperienza utile anche agli insegnanti, in quanto li sostiene e li accompagna a conoscere più da vicino i loro “ragazzi” e a sostenerli con gli strumenti più adatti. Ciò che spesso gli insegnanti mi raccontano è che si trovano “disarmati” e stanchi di fronte a queste “sfide”. Per poter sviluppare capacità di ascolto dell’altro, è fondamentale partire dall’ascolto di sé e del proprio vissuto supportati da un “esperto” che accompagna i momenti più faticosi e più in salita della relazione educativa.

L’attività dello Sportello favorisce la riflessione su questi processi e l’osservazione delle dinamiche che avvengono in classe, aiutando l’insegnante a trovare risposte alternative, sia per il singolo alunno che per il gruppo classe, a partire dall’ascolto di sè. L’insegnante disposto all’autoascolto, aperto al confronto, al dialogo e alla crescita “si pone come modello positivo” e offre la possibilità di sperimentare rapporti intimi ed autentici. Tutto ciò a vantaggio della formazione e dell’apprendimento degli alunni e della propria crescita professionale” (De Martino, et al., 1997).

Un’altra difficoltà che si trovano a gestire riguarda l’eterogeneità del gruppo classe: studenti con DSA, deficit attentivi, iperattività, ragazzi stranieri, etc. Spesso i docenti riportano difficoltà di ascolto da parte degli studenti, che si distraggono facilmente o non rispettano i turni di parola, oppure che manifestano disagi vari che occorre decodificare e canalizzare rapidamente per evitare ripercussioni sulla classe; o ancora studenti poco partecipativi, che tentano di “passare inosservati” o di omologarsi. Gestire la diversità può essere un’attività complessa e fonte di affaticamento psicofisico. “Fare” scuola oggi, vuol dire non solo promuovere e sostenere la qualità educativa, ma agire l’inclusione, cioè lavorare per “tenere insieme” ed “amalgamare” classi sempre più numerose, eterogenee e multiproblematiche. Questo rappresenta un compito sempre più arduo e complesso che gli insegnanti si trovano ad affrontare, che richiede grande passione, nuove capacità e delle competenze che talvolta sconfinano dal “tradizionale” ruolo immaginato per l’insegnante e lo portano ad esercitare quell’ars maieutica tipica di ogni azione educativa.

CONCLUSIONI

Lo Sportello d’Ascolto ha lo scopo di incrementare il benessere psicofisico degli studenti, di prevenire fenomeni di dispersione scolastica e anche di supportare le famiglie e gli insegnanti nei loro compiti educativi e di sostegno alla crescita e sviluppo della personalità. È un modo di sostenere la scuola nel suo ruolo educativo, coinvolgendo e collaborando con le famiglie. È per me “un’esperienza utile non solo agli studenti”, proprio perché l’intervento di consulenza psicologica svolto nelle scuole è pensato principalmente per gli studenti ma non può non abbracciare il contesto in cui sono inseriti i ragazzi ovvero gli adulti genitori e insegnanti. Il disagio che l’adolescente manifesta indica non tanto una problematica individuale, quanto l’espressione di un disagio dell’intero sistema famiglia. Secondo la prospettiva sistemico-relazionale, l’individuo è frutto delle sue esperienze relazionali e comunicative. Pertanto, il disagio espresso è frutto di comunicazioni contraddittorie e disfunzionali all’interno dei contesti di appartenenza (famiglia, scuola, lavoro, etc.) (Canestrari, 1997). L’attività dello Sportello mira a sviluppare e favorire comunicazioni efficaci per costruire relazioni sane e migliorare la qualità di vita all’interno dei vari contesti di appartenenza dei ragazzi, coinvolgendo gli adulti a loro vicini.

La buona comunicazione a scuola tra studenti ed insegnanti, non ha solo fini di prevenzione delle difficoltà adolescenziali ma è tappa indispensabile per il raggiungimento di risultati positivi nell’insegnamento e nell’apprendimento (Maggiolini, 2002). Molto spesso è affidata alle personali capacità di dialogo e ascolto di ciascun insegnante, sulle quali non vi è alcuna formazione specifica. Spesso la capacità/incapacità comunicativa diventa un limite nella relazione studente-professore, se quest’ultimo non si ferma a riflettere sull’impatto che ha sulla vita dell’altro e non sceglie di affiancare alla trasmissione delle competenze professionali la condivisione consapevole di quelle relazionali. Per questo noi di Scintille.it proponiamo nei nostri corsi attività cooperative che tengano conto degli aspetti relazionali ed emotivi, con lo scopo di facilitare la costruzione di abilità sociali, per sviluppare cooperazione, fiducia e capacità di instaurare/mantenere buone relazioni con gli altri per crescere Cittadini più attenti al Bene comune.

“L’adolescenza è una ‘malattia’ normale. Il problema riguarda piuttosto gli adulti e la società: se sono abbastanza sani da poterla sopportare”. Questa è una affermazione dello psicanalista inglese Donald Winnicott che Ammanniti (2015), nel suo ultimo libro, invita a imparare a memoria. Una massima che descrive bene parte delle difficoltà che oggi adolescenti e adulti devono affrontare.

Ma genitori e insegnanti sanno stare accanto a questi adolescenti?

Oggi viene chiesto agli adulti di “aver fede” in se stessi così da poter “aver fede in un Altro”: i loro figli, i loro studenti.

Ed “aver fede in un’altra persona significa aver fiducia nella stabilità delle sue qualità fondamentali, della sua indole, del suo amore”, solo questo consente all’Altro di realizzare appieno le sue potenzialità (Fromm, 1963).

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Ammaniti M., (2015). La famiglia adolescente. Bari: Laterza.
Canestrari R., Godino A., (1997). Trattato di psicologia. Bologna: CLUEB.
Caprara G. V., Fonzi A., (2000). L’età sospesa, Firenze: Giunti.
De Martino M., Novellino M., Vicinanza A. (1997). L’alleanza nella relazione didattica. Analisi Transazionale in campo psicopedagogico. Napoli: Liguori Editore.
Fromm Erich, (1963). L’arte di amare. Milano: Il Saggiatore.
Galimberti U., (2007). L’ospite inquietante, Roma: La Feltrinelli.
Harris, T. A. (1971). I’m OK, you’re OK. New York: Grove Press (tr. it. Io sono OK, tu sei OK. Milano: Rizzoli, 1974).
Maggiolini A., (1997). Counseling a scuola. Roma: Franco Angeli.
Rogers C. R., (2007). La terapia centrata sul cliente. Molfetta: La Meridiana.

1 Il nome dello studente è un nome fittizio, così come i dati della sua storia sono stati in parte modificati per garantire la sua privacy.
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