L’approccio cooperative nei processi di partecipazione e di cittadinanza attiva – II Parte

processo partecipativoCi siamo dedicati nel precedente articolo (Luglio 2016) ad illustrare alcuni aspetti legati alla tematica della partecipazione democratica e ai processi cooperativi che possono sostenerli e facilitarli.


Ci dedicheremo in questo contributo ad un approfondito esame sul tema della partecipazione democratica che ci permetta di individuarne criticità e potenzialità. Lasciamo al pdf l’approfondimento sulla normativa in Toscana (la prima regione italiana con un corpus legislativo dedicato).

Le fasi trasversali del processo partecipativo

Già descritte nel precedente articolo, sottolineiamo qui nuovamente come i processi partecipativi risultino avere, secondo una analisi condotta da Scintille.it, una serie trasversale di fasi, ognuna delle quali può essere sollecitata, animata e gestita utilizzando alcune strutture cooperative.

Le fasi individuate sono:

1. Conoscenza reciproca dei partecipanti
2. Pporre/porsi gli obiettivi (negoziare aspettative)
3. Approfondire contenuti tecnici (scientifici o legislativi)
4. Proporre emendamenti, soluzioni, impegni (elaborare azioni)
5. Scegliere le azioni e integrarle in un piano (scegliere, decidere e organizzare le scelte)
6. Monitorare i risultati e i processi
7. Festeggiare i risultati (senza sottacere i problemi e le criticità, anzi avanzando nuove soluzioni)

Processi partecipativi: alcune criticità

Coinvolgere i cittadini nelle decisioni pubbliche non è una scelta scevra da rischi.
Da parte dei cittadini vi può essere una certa diffidenza sulle reali intenzioni dei promotori. Il timore di una ricerca strumentale di consenso intorno a scelte già compiute da parte del sistema politico locale è ben presente nella mente di molti cittadini. E gli intoppi, peraltro fisiologici in questo tipo di processi, possono alimentare ulteriormente la sfiducia: i processi possono risultare poco chiari, la comunicazione con i cittadini circa gli sviluppi del processo può essere carente (la mancanza di feed back sullo stato di avanzamento dei lavori è uno dei punti deboli più diffusi), è difficile comunicare aspetti tecnici a non-addetti ai lavori e gli esperti possono esercitare un’eccessiva influenza (specie nei progetti di urbanistica partecipata).

E’ soprattutto per questa ragione che si ritiene importante che il processo venga gestito da soggetti (singoli o meglio associati in team multidisciplinari) specializzati.
Si noti bene che per specializzazione si intende il possesso di competenze e conoscenze atte a saper gestire i gruppi, le loro dinamiche, il team building, i conflitti, l’apprendimento cooperativo, il problem solving e soprattutto la capacità di saper fornire queste competenze ai gruppi.

Qui si pone il problema di quale formazione professionale o accademica possa formare preparare professionisti del genere.

Al momento si conoscono le esperienze di Master presso l’Università di Pisa (2010), un Master attivato a Firenze (2009), l’esperienza di un Master in Alta Formazione attivato a Roma (2014) dei quali si possono avere maggiori informazioni nella sitografia in calce all’articolo.
Attualmente ci sono alcuni esempi di soggetti privati (Avventura Urbana opera nel campo della Formazione e Scintille.it) che operano nel campo della Formazione ed hanno attivato varie proposte di Cittadinanza attiva.

Proseguendo nella analisi degli aspetti critici legati ai processi partecipativi, bisogna considerare inoltre l’insensibilità di alcune amministrazioni (spesso limitrofe a quelle attive nei processi partecipativi) e la conseguente difficoltà di lavorare insieme, in rete, costruendo un humus culturale diffuso.
Coinvolgere i cittadini non è così facile come talvolta si ritiene: partecipare significa donare, spesso su base volontaristica, tempo ed energia. Un’adeguata motivazione forse è presente fra alcuni stakeholder (che hanno interessi da perseguire), rappresentanti di associazioni e istituzioni, e qualche cittadino militante; più di rado fra cittadini comuni. Non stupisce quindi che, nonostante gli sforzi profusi da promotori e gestori dei processi esaminati, il numero complessivo dei cittadini comuni che prende parte a processi che durano vari mesi risulti piuttosto limitato rispetto alla popolazione complessiva toccata dalle scelte sul tavolo.
La conseguente autoselezione di chi partecipa va spesso a discapito della rappresentatività.
Includere specifiche fasce della popolazione (ad esempio i giovani ) o anche gli esponenti di gruppi radicali o dell’area politica avversaria appare talvolta ostico.

D’altro canto un basso livello di partecipazione espone le amministrazioni al rischio della critica, da parte dei cittadini e da parte delle opposizioni politiche: quale legittimità può vantare una decisione assunta da qualche decina di persone in un quartiere che ne conta migliaia, in una città che ne conta centinaia di migliaia o in una regione che ne conta milioni?
Si obietta spesso da parte degli organizzatori/animatori del processo partecipato che si sono fatti notevoli sforzi per far conoscere l’esistenza del processo stesso al momento in cui viene avviato, ma la criticità legata al coinvolgimento e alla comunicazione non è facilmente eludibile.

Il contesto politico-istituzionale, poi, talvolta non è favorevole. Vi sono resistenze da parte del sistema politico a imboccare la via della partecipazione o, successivamente, a recepire le indicazioni che ne emergono, magari per effetto di un cambiamento del contesto politico e tecnico. E chi, politico o tecnico, talvolta senza l’appoggio convinto della propria amministrazione, imbocca nonostante tutto la strada della partecipazione, si espone spesso a fallimenti o forti critiche: colleghi, superiori e avversari politici sono pronti spesso ad approfittarne in modo strumentale. Altre volte, il personale politico può percepire questo tipo di processi come una sottrazione di potere, una rinuncia al mandato rappresentativo ricevuto dall’elettorato.
La partecipazione mette inoltre a dura prova le risorse, tipicamente scarse, delle amministrazioni: pochi fondi o risorse economiche (e la partecipazione ben fatta ha un costo, che troppo spesso non si riesce a far valere rispetto al potenziale valore aggiunto di tali processi), poche risorse logistiche e informative, poco personale interno (talvolta impreparato rispetto alle logiche innovative che i processi partecipativi richiedono), e poco tempo rispetto a quello che un processo che mira a creare una condivisione profonda su temi non semplicirichiederebbe, portando a qualche forzatura.
Persino l’innovativo sistema toscano, si scontra spesso con il limite dei sei mesi per il Dibattito Pubblico che si rivela spesso insufficienti. 12 Dodici mesi sembra essere il tempo più adeguato per processi complessi e con molti partecipanti.
L’esito dei processi partecipati, infine, non è scontato. Talora i processi partecipativi producono progetti un po’ piatti o che comunque si sarebbero potuti ottenere senza alcun coinvolgimento e i relativi oneri, in altre occasioni si rischia di andare fuori tema e le questioni affrontate si rivelano di poco conto rispetto al tema centrale. La condivisione attorno alle scelte, poi, in alcuni casi appare piuttosto superficiale, e non sempre tiene conto delle prospettive e degli interessi della comunità più ampia.
Da rilevare infine l’aspetto delle aspettative create. Coinvolgere i cittadini nelle decisioni crea aspettative; dalla partecipazione è difficile tornare indietro, pena la delusione e una conseguente perdita di credibilità, che è molto difficile recuperare in seguito. Occorre sempre essere preparati all’eventualità che i partecipanti possano assumere decisioni in contrasto con gli orientamenti del sistema politico. E’ importante sempre considerare la cosiddetta opzione zero, e cioè che i cittadini opzionino un orientamento che non coincide con quello di chi ha responsabilità di Governance, e questo lo si può ben fare con tecniche di Risk Analysis e Risk Management.

Le criticità presentate sin qui potrebbero scoraggiare chi voglia attivare dei parocessi partecipati. I problemi e rischi in realtà, emergono ovunque queste pratiche vengano impiegate, ma in Italia forse di più perché a questi processi si fa ricorso da meno tempo, meno sistematicamente, e facendo troppo spesso ricorso a facilitatori non adeguatamente formati.
In termini positivi si può notare che i processi di apprendimento sociale sono ancora in atto e che dunque un ravvivato ricorso a questo approccio possa sostenere una maggior diffusione della corretta mentalità e precomprensioni procedurali.
Nel numero di agosto 2013 di questa newsletter è stato presentato il progetto Sistema Sostenibilità alla Cittadella dello Studente di Grosseto in cui si è illustrato un caso concreto di applicazione di tecniche cooperative ad un lungo processo di riappropriazione e cura degli spazi pubblici dei 7 Istituti di Istruzione superiore della capitale maremmana.

In questo processo ci pare che l’approccio del Cooperative Learning possa offrire un solido corpus di visione dell’uomo, principi, caratteristiche e tecniche/metodologie/strutture oramai ben definite.
Proporre attività del genere nel mondo della scuola, per studiare alcuni avvenimento storici, per
Per formare in sintesi quella competenze sociali e civiche descritte nell’ambito delle 8 competenze chiavi per l’apprendimento e il XXI secolo definite nei documenti comunitari ed in particolare dalla Raccomandazione del Parlamento europeo e Consiglio Europeo del 18 Dicembre 2006 Competenze chiave di Cittadinanza.
Le competenze sociali e civiche sono intese come competenze personali, interpersonali e interculturali e tutte le forme di comportamento che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita sociale e lavorativa. La competenza sociale è collegata al benessere personale e sociale. È essenziale comprendere i codici di comportamento e le maniere nei diversi ambienti in cui le persone agiscono. La competenza civica e in particolare la conoscenza di concetti e strutture sociopolitici (democrazia, giustizia, uguaglianza, cittadinanza e diritti civili) dota le persone degli strumenti per impegnarsi a una partecipazione attiva e democratica;”.

Questo tema può essere approfondito leggendo l’articolo dell’agosto 2013 di Mastrandrea, Pavan e Santini.

Le prospettive dell’approccio partecipativo

A guardar meglio, però, il quadro presenta anche tinte rosee e punti di luce, che fanno ben sperare per il futuro.
In quasi tutti i casi qui analizzati dal volume curato da Bobbio (2007) “le amministrazioni dimostrano una notevole capacità di innovare e di rischiare, talvolta anche modificando prassi pre-esistenti e processi partecipativi già consolidati da tempo, evitando di scadere nell’ordinaria amministrazione. Nel farlo talvolta mostrano inventività ricorrendo a approcci svariati e metodi efficaci di animazione e coinvolgimento, mostrano coraggio nello sperimentare e cercano forme che incentivino la partecipazione, magari riducendo l’impegno richiesto e attivando più canali in parallelo”. Grazie a ciò, i processi partecipativi talvolta arrivano là dove le istituzioni ufficiali non riescono a neppure a entrare. Un cenno specifico va all’adozione di tecniche (come il sondaggio deliberativo – Regione Lazio – e la giuria di cittadini –Vercelli –) che mirano a consentire ai cittadini comuni di interagire in processi basati sull’ascolto e sul dialogo e di esprimere opinioni informate.
Le amministrazioni dimostrano anche di saper superare assai spesso difficoltà e limiti, reperendo le risorse necessarie per sostenere i costi delle consulenze esterne (Modena, Bologna, Ivrea) oppure facendo tutto in casa (come a Terni), e comunque di saper mobilitare le proprie risorse (umane, logistiche e comunicative) interne a supporto dei processi (Modena, Ivrea). Fra l’altro, attivano processi di apprendimento interno, creando così risorse e know-how disponibile per il futuro.
Il valore aggiunto di questi processi è significativo e variegato. Si producono, per l’intanto,decisioni: progetti urbanistici (Bologna, Modena) o una carta dei servizi per la refezione scolastica (Terni); si affrontano problemi avvertiti dalla comunità (il modello di sviluppo di San Gimignano), si contribuisce a promuovere cambiamenti nello stile di vita (Venezia). Non di rado i processi portano a scelte condivise, o almeno a definizioni condivise delle problematiche da affrontare (S. Gimignano). Si risolvono e si prevengono conflitti (Terni, Bologna). Si colgono opportunità (Bologna) e risorse aggiuntive (Latina). Si migliora la qualità delle decisioni grazie alla mobilitazione dei saperi locali (che individuano le criticità e propongono soluzioni basate sulla conoscenza del territorio), integrandoli con quelli specialistici e se ne assicura l’attuazione.
Si produce, inoltre, capitale sociale, sia in verticale (cittadini/amministrazioni), sia in orizzontale (tra soggetti sociali singoli e collettivi): si valorizza l’autogestione, si rafforzano le relazioni e lacooperazione tra cittadini, si sviluppa il senso di proprietà dei cittadini, si formano cittadini alleproblematiche comunitarie, si crea una clima positivo di fiducia amministrazione-utenti disinnescando anticipatamente possibili conflitti e attivando canali di ascolto, si coltiva un senso dicomunità come presupposto per stimolare l’imprenditorialità, si risveglia il territorio, il senso diappartenenza, si rafforzano reti tra istituzioni, si costruiscono capacità di sistema.

Se le amministrazioni dimostrano la volontà di imboccare la strada della partecipazione, i vantaggi in realtà non mancano, sia per loro stesse, che per le comunità. Quando la partecipazione funziona, il proponente vede rafforzata la propria posizione politica o nell’amministrazione. Più in generale, le amministrazioni vedono accrescersi il consenso, con un significativo ritorno di immagine. Si risolvono conflitti. Inoltre, la partecipazione può essere un modo efficace di trasmettere un segnale di cambiamento.
Chi coinvolge, con serietà d’intenti, i cittadini nel governo della cosa pubblica, nelle scelte collettive si avventura dunque in terra perigliosa. Come ogni esplorazione, però, i grandi rischi che si corrono sono giustificati dai tesori che si trovano. Ci vuole coraggio, visione, volontà di innovare. E, a ben cercare, in effetti, i tesori non mancano.
E’ una terra da esplorare. Conoscendola meglio apparirà meno minacciosa.

Sitografia e riferimenti bibliografici

Bibliografia essenziale:
– Arena, G. (2005).Cittadini attivi, Bari: Laterza, 2005.
– Bobbio, L. (a cura di) (2007). Amministrare con i cittadini. Viaggio tra le pratiche di partecipazione in Italia. Università Degli Studi Di Torino Dipartimento Di Studi Politici
– FONDACA (Fondazione Cittadinanza Attiva) – Active Citizenship Network, (2006). Carta Europea della cittadinanza attiva (2006). Vienna, s.e.
– Mastrandrea, F.R. – Santini, F. (2012). Education for Sustainable Development. A Tool to design training courses. Prefazione di Edo Ronchi. Lecce-Brescia: Pensa Multimedia editore.
– Parlamento europeo e Consiglio Europeo (2006). Competenze chiave di Cittadinanza, Raccomandazione del 18 Dicembre 2006.
– Pavan, D. – Santini, F. (2013). Co-operative Learning and Education for Sustainable Development. In Journal of Co-operative Studies, 46:2, Autumn 2013: 57-61 ISSN 0961 5784
– Toffol, F. – Valastro, A. (2012). Dizionario di Democrazia Partecipativa. Regione Umbria, Centro Studi Politici e Giuridici.

Attività Formative:

– Uni Pisa Master 2010-2011
Master partecipazione Firenze
Formazione avventura Urbana

– Roma Il Master dal titolo “Il facilitatore. Una nuova figura per lo sviluppo delle comunità locali” è una delle prime proposte strutturate in Italia di formazione specialistica per la figura del Facilitatore di comunità (community organizer), ed è promosso da Ceida, Fondazione Roma e dall’associazione Voice, con il patrocinio di Roma Capitale e Provincia di Roma

– Formazione Scintille.it: Dedicata a comunità educative che vogliano costruire una visione condivisa tramite modalità partecipative e percorsi partecipativi per quartieri e scuole verso la sostenibilità.

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