Il debriefing

Una modalità per rendere consapevoli dei processi attivati

Dopo che l’insegnante ha utilizzato le modalità per l’insegnamento delle competenze sociali, con il debriefing è possibile effettuare una revisione pre rendere consapevoli le procedure e i processi.

a cura di Paolo MarcatoGO

L’attività di debriefing di una simulazione giocata in un contesto di intervento educativo per adulti è altresì nota con la non breve locuzione di ristrutturazione cognitiva dell’agìto ludico.

Va da è che è molto più comodo continuare a chiamarla debriefing. Dell’idea in sé dell’attività siamo debitori (come molte cose della simulazione giocata) al mondo militare. Prima dell’azione vi è un brief per l’illustrazione della stessa e la divisione dei compiti. Ad attività svolta si tiene un debrief per la sua disamina e la valutazione dei risultati. Dato a Cesare ciò che effettivamente tocca a Cesare, passiamo agli elementi di minima per la progettazione di un debriefing.

Il debriefing diventa quindi la modalità per avvicinare ciò che è successo durante il gioco alla realtà quotidiana. Il debriefing è la modalità operativa che rende possibile ed efficace l’utilizzo del gioco in contesti finalizzati all’apprendimento. Ci interessa sottolineare l’attenzione progettuale nell’immaginare lo spazio del gioco ripartito in modo simmetrico tra agìto ludico e debriefing.

Perché è così importante il debriefing?
La risposta non è solo strettamente funzionale al raggiungimento dell’obiettivo cognitivo; l’impiego del debriefing come sola metodologia è necessario, ma non sufficiente. Ciò che il debriefing realizza e che lo rende significante è il suo essere dentro e fuori dal gioco. Ne è la prosecuzione, tant’è che può assumere la forma di un gioco, il d-game, ma ne costituisce nel contempo una modalità di osservazione e di elaborazione. In questo caso la collocazione del sistema osservante non sembra essere totalmente esterna: sembra piuttosto collocarsi a lato. Attraverso questa attività viene chiesto anche agli stessi partecipanti un estraniamento dal ruolo che è finito,ma non ancora spento; la dimensione temporale non è più quella del qui ed ora, ma non è ancora quella del lì ed allora.

Nell’utilizzo organizzativo delle simulazioni giocate come strumenti diagnostici (ma non solo), è previsto l’utilizzo di osservatori. In tal caso il debriefing diviene una esperienza che collaziona in
modo originale questo lavoro di estraniamento dei partecipanti primi, coloro che hanno agìto direttamente il gioco, ed il lavoro di osservazione dei partecipanti secondi, che si realizza nello spazio del gioco, e che spesso impiega la porzione di partecipanti alla sessione che non è direttamente, ma indirettamente impegnata nel gioco nel ruolo di osservatori. Il debriefing diventa quindi una modalità di osservazione-elaborazione dell’agìto ludico interna ed esterna al gioco, collocata a lato di quest’esperienza, ma sempre compresa dal suo spazio.
Compito del conduttore nella eventuale gestione del debriefing sarà dunque quello di mettere a disposizione dei partecipanti degli strumenti perché questi possano esplicitare il vissuto
emotivo ed iniziare il lavoro di confronto tra ciò che è successo durante il gioco e la realtà quotidiana. Il delta che ne risulta è lo spazio di apprendimento in grado di generare in modo
anche esplicito nuove modalità di relazione con la realtà.
Sappiamo dalla letteratura scientifica che la forma del debriefing può essere quella del gioco, il debriefing game o d-game, che evita troppo brusche soluzioni di continuità con il gioco e che
consente ai partecipanti di lavorare senza soverchie preoccupazioni di analiticità.

Passiamo ad immaginare la struttura di massima del debriefing, pensandola composta di una macrofase EMOZIONALE e di una ANALOGICA-APPLICATIVA.
Alla prima spetta il compito di consentire l’esplicitazione dei vissuti emotivi accumulati durante il gioco. Alla seconda il compito cognitivo di passare dall’esperienza ludica alle applicazioni nel reale.
Questo il flow di massima dell’attività:
fase emozionale-> break-> fase analogica-> fase applicativa.
Prevedete un tempo adeguato. Il debriefing dovrebbe probabilmente durare almeno quanto tutto il resto della sessione messa insieme. Preparate uno schema su cui lavorare durante il debriefing. Metteteci la stessa cura impiegata per preparare la parte giocata del vostro gioco di simulazione. Assicuratevi di prevedere per ciascuna delle tre fasi del debriefing un tempo adeguato.
Abbiamo già detto che il debriefing è un processo educativo che si usa dopo un gioco, una simulazione, un role-play o un’altra attività esperienziale per aiutare i partecipanti a riflettere sulle loro precedenti esperienze al fine di ricavarne significativi insight (Thiagarajan, 1986). Si può usare il debriefing con ogni attività di apprendimento ricca sul piano esperienziale, emozionalmente intensa e cognitivamente complessa. Sostanzialmente un debriefing è strutturato in una parte EMOZIONALE ed in una ANALOGICA. L’obiettivo complessivo del debriefing è che i partecipanti siano in grado di passare progressivamente dal piano ludico a quello della realtà: dal “qui e ora” al “lì e allora”.
Obiettivo della fase emozionale è che i partecipanti verbalizzino il proprio vissuto emotivo, mentre l’obiettivo della fase analogica è che i partecipanti verbalizzino gli apprendimenti realizzati nella simulazione giocata che siano utilizzabili nella realtà quotidiana.
Primo caposaldo. Sembra banale dirlo, ma il debriefing è una proposta di attività. Chi vuole lo fa e chi non vuole o più semplicemente non si sente pronto per un’attività strutturata, può per il momento starne ai margini. Evitate quindi ingiunzioni paradossali (…tutti devono partecipare!)

Primo caposaldo.
Il ruolo del conduttore nella fase di debriefing è quello di facilitatore: mette a disposizione le metodologie, le risorse necessarie e vigila sui tempi. Si astiene nella manierà
più assoluta da ruoli di interpretazione. Saranno comunque i partecipanti ad agìre le fasi del debriefing e a proporne alla discussione in plenaria i prodotti. Il perchè è evidente: sono i partecipanti che hanno simulato, giocato, ecc.

Al proposito riportiamo alcuni precetti utili (Steinwachs, 1986, in Marcato et alii, Gioco e Dopogioco, La Meridiana editrice, Molfetta 1986).
Tenetevi per lo più fuori della concreta discussione. Evitate di dire ai giocatori ciò che pensate avrebbero dovuto apprendere. Se non l’hanno raccolto dall’esperienza, probabilmente non
l’apprenderanno solo perché lo dite voi. Rispettate ciò che stanno facendo delle loro vite, e abbiate fiducia che qualunque cosa stiano apprendendo in quel momento avrà valore per loro – anche se
diversa dai vostri insight attuali. Sostenete tutti coloro che danno contributi, eventualmente
raccogliendo e ripetendo, o meglio dimostrando di aver compreso, alcune parole chiave appena dette, o dicendo: “Dì qualcos’altro su…”. Questo favorirà una risposta più in profondità da
parte di chi sta tentando di dar voce alle sue prime impressioni. Se una domanda funziona, continuate a porla, eventualmente riformulandola un po’ ogni volta. Rispettate e usate i silenzi come spazi per pensare, assimilare. Rimanete fermi, aspettate e aiutate ad aspettarsi a vicenda. Aiutate coloro che tendono a prevaricare a essere più sensibili agli altrui bisogni di partecipare, e coloro che tendono a ritirarsi a esprimersi e condividere. Non abbiate paura di affrontare queste situazioni in modo non giudicante; chiedete a ognuno di usare le sue capacità di facilitatore del gruppo per dare un aiuto. Non temete di fare una domanda diretta (nota: diretta non equivale a brutale) a
qualcuno che sapete avere un’esperienza particolare da riferire. Se qualcuno discute il valore di un commento o anche la stessa attività, non sentitevi minacciati. Accettate il tutto, come ogni
altra convinzione o opinione, come possibile insight. Chiedete agli altri che cosa pensano di quanto è stato appena detto.

Secondo caposaldo.
Intrecciate l’attività di piccolo/grande gruppo. Molti giochi e simulazione sono fatti per grandi gruppi (dai 20-30 partecipanti in su). In queste situazioni se è macchinoso coordinare un’attività, diventa ancora più macchinoso gestirne il debriefing.
Sia nella fase emozionale che in quella analitica gli stessi (o diversi) compiti, in sinergia (o in concorrenza) possono essere affidati ad un numero cospicuo di piccoli gruppi che si troveranno a
presentare i propri output in plenaria, che assume quindi il compito di portare a sintesi l’insieme. Altra opzione possibile è la “tecnica dell’acquario” per consentire all’intero gruppo di
partecipare a una discussione. Formate un cerchio usando da 10 a 20 sedie all’interno del cerchio di debriefing più grande. Raccogliete dall’intero gruppo abbastanza volontari da occupare tutte le sedie tranne tre del cerchio interno (l’acquario). Conducete il debriefing solo con il gruppo dell’acquario; gli altri osservano. Chiunque del gruppo più grande degli osservatori voglia unirsi alla discussione, deve occupare una delle sedie vuote dell’acquario. Quando le sedie vuote sono occupate, chiunque altro del cerchio esterno voglia unirsi alla discussione dovrebbe mettersi in piedi
dietro una sedia occupata e prendere quella sedia quando si libera. Le persone del cerchio esterno possono continuamente ruotare attraverso le sedie “vuote”. Ciò funziona bene finché la discussione è strettamente limitata a coloro che siedono sulle sedie dell’acquario. Le persone del cerchio esterno ascoltano più attivamente di quanto non facciano di solito gli osservatori, perché hanno sempre la
possibilità di occupare una sedia vuota del cerchio interno e unirsi alla discussione.

Proviamo infine a tracciare un flow più articolato, in sede di progettazione, delle possibili attività di debriefing.

PROLEGOMENI
Uscire dall’attività appena terminata (deporre e riporre in un angolo i materiali usati per lo svolgimento della simulazione).
Costruire un setting per l’attività di debriefing (tipicamente e gestalticamente un cerchio)
Dichiarare ai partecipanti cosa si vuole realizzare (è il debriefing, una sorta di discussione di ciò che è successo nella simulazione)
Replay (verbalizzate le principali fasi dell’attività appena terminata).

FASE EMOZIONALE
Stimolare ogni singolo partecipante a verbalizzare i propri stati d’animo. A livello individuale e di plenaria.
Cercare di indovinare gli stati d’animo prevalenti in tutto il gruppo. A livello individuale o di piccolo gruppo e di plenaria.
Approfondimento delle verbalizzazioni. A livello individuale e di plenaria

BREAK

FASE ANALOGICA
Analogie. Un set di domande su: “cosa è successo e come assomiglia ai comportamenti reali?” da affidare prima ad ogni partecipante per una prima definizione e poi a piccoli gruppi per un ulteriore
approfondimento da relazionare in plenaria.
Applicativa. Un set di domande su: “quali sono gli apprendimenti realizzati nell’attività che possono essere trasferiti utilmente nella quotidianità?”. A piccoli gruppi e poi in plenaria.

CONCLUSIONE
Formale o Simbolica e gestaltica.

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