Imbestialirsi o gestire le relazioni tra colleghi? Istruzioni a caldo

Imbestialirsi o gestire le relazioni tra colleghi? Istruzioni a caldoPer proporre qualche spunto di riflessione su questo interrogativo, partirei dal termine scelto per descrivere la sua reazione: imbestialire.

La definizione che Treccani dà del termine è la seguente: diventare una bestia o simile a una bestia; riferito a un animale, inferocire. Più spesso in senso fig., perdere (per ira, irritazione, ecc.) il controllo di sé e delle proprie reazioni. L’espressione imbestialire ci riporta ad un’emozione che ciascuno di noi conosce: la rabbia.

Rabbia e altre emozioni

Come le altre emozioni, la rabbia è una reazione psicologica e fisica, che si manifesta intensamente e in relazione ad un qualche evento. Proviamo paura di fronte ad un pericolo, gioia per un successo, proviamo tristezza se capita una disgrazia ad una persona a noi cara, proviamo rabbia di fronte ad un’ingiustizia.

Che siano piacevoli (come la gioia) o spiacevoli (come la tristezza o la rabbia, appunto) le emozioni rappresentano per ogni essere umano un aspetto indispensabile, funzionale al proprio benessere sia personale che sociale. Pervadono la nostra vita imprimendo la propria impronta sulle relazioni interpersonali, e influenzano gran parte dei comportamenti sociali. Nonostante noi esseri umani siamo spesso propensi a privilegiare la nostra componente razionale, la nostra natura rimane prevalentemente emotiva: le esperienze che facciamo ci guidano e ci educano non tanto attraverso i fatti in se stessi, ma piuttosto attraverso le emozioni che suscitano, che orientano la nostra riflessione e il nostro agire.

Pensavamo di essere degli esseri razionali che ogni tanto si emozionano, ma Damasio ha chiarito che siamo esseri emotivi che ogni tanto ragionano.

La rabbia è il sentimento che proviamo quando ci vediamo sottomessi a situazioni che ci provocano frustrazione o che percepiamo come negative. La rabbia ha una funzione evolutiva chiara: ci fornisce le risorse necessarie per affrontare una situazione frustrante. Quindi, il problema non sta nel provare rabbia, ma piuttosto nel riuscire a gestirla. Quando l’onda emotiva è troppo intensa, è importante cogliere il malessere e rendere possibile la sua trasformazione.

Qual è la soluzione? Di certo non possiamo reprimere le nostre emozioni, men che meno quando sono forti: dobbiamo concedere loro spazio! Se tentiamo di reprimerle, le emozioni a lungo andare finiranno per opprimerci o per esplodere nei momenti meno opportuni.

Aristotele diceva che colui che si adira per ciò che deve e con chi deve, e inoltre come, quando e per quanto tempo si deve, può essere lodato.

Autoregolazione emotiva a scuola

Dunque, per gestire in modo efficace le emozioni dobbiamo essere in grado di regolarle. Tutte le emozioni che appartengono all’uomo, nelle loro connotazioni positive o negative (che noi siamo soliti dar loro, ma di per sé nessuna emozione è negativa!), hanno legittimità di esistere ed essere espresse (siamo capaci di non sentirci arrabbiati di fronte a un’ingiustizia che ci è stata fatta?). Molto spesso, invece, sono illegittimi i comportamenti che a queste emozioni si accompagnano (è giusto picchiare un compagno, anche se questo ci ha fatto arrabbiare?). Dobbiamo imparare a regolare le emozioni, ad interpretarle e usarle come un GPS che possa guidarci nella direzione che vogliamo. Questo rappresenta un aspetto importante del buon funzionamento sociale.

Le scuole sono organizzazioni complesse, all’interno delle quali la maggior parte delle decisioni importanti viene presa con il contributo di più persone che, confrontandosi su idee e opinioni differenti, cooperano per arrivare a soluzioni condivise. Ciò nonostante, non è scontato che gli insegnanti (e, più in generale, gli adulti) possiedano le capacità necessarie a lavorare insieme: spesso il collega è considerato un avversario piuttosto che un alleato, e questo clima di mancanza di stima e fiducia nell’altro spiana la strada al conflitto.

Cosa possiamo fare se un collega è scorretto con i ragazzi e questa cosa ci fa imbestialire?

Possiamo adottare delle soluzioni da “pronto soccorso rabbia”, che ci aiutino ad abbassare immediatamente la tensione:

  • cerchiamo altre informazioni per capire meglio la situazione attraverso dettagli ulteriori, che magari ci aiuteranno a smussare la sensazione di ingiustizia e a contestualizzare, ad andare oltre quello che vediamo e intercettare delle ragioni più profonde dietro il comportamento manifesto;

  • allontaniamoci dal luogo della discussione e dalla persona che ci ha fatto arrabbiare, facciamo una passeggiata, leggiamo un libro: le distrazioni buone portano la mente lontano dai pensieri negativi e la nostra rabbia diminuirà d’intensità.

Ma il vero lavoro sulla gestione delle emozioni si porta avanti in “tempo di pace”, lavorando su se stessi per apprendere una comunicazione assertiva, utilizzando la nostra rabbia in positivo per affermare ciò che pensiamo in modo rispettoso ed empatico. Essere assertivi significa avere un comportamento efficace e adeguato per ottenere il risultato desiderato, comunicarlo con autenticità, senza essere sottomessi né aggressivi, rispettando il proprio interlocutore. L’assertività viene considerata una competenza sociale ed implica la capacità di riconoscere le proprie esigenze (o i propri diritti) e di esprimerle con efficacia nel proprio ambiente, mantenendo, al contempo, una positiva relazione con gli altri.

Come si fa a migliorare la propria assertività?

Arriva in nostro soccorso Marshall B. Rosenberg, brillante allievo dello psicologo umanista Carl Rogers, che ha messo a punto quello che è molto più che uno strumento di comunicazione: la Comunicazione Non Violenta (CNV).

La Comunicazione Non Violenta è un metodo di comunicazione empatica, fondato su quattro passi:

  1. Osservazione dei fatti: descrivere in modo oggettivo, senza valutazioni, i fatti a cui ci riferiamo o a cui stiamo reagendo;

  2. Identificazione dei sentimenti: davanti a quei fatti, riconoscere i nostri sentimenti, ciò che proviamo in riferimento a quanto osservato;

  3. Riconoscimento dei bisogni: esprimere i bisogni insoddisfatti che hanno causato i nostri sentimenti;

  4. Formulazione delle richieste: chiarire formulando una richiesta concreta, positiva, nel presente, che descriva le azioni che in quel momento scegliamo di intraprendere per soddisfare i bisogni umani presenti in noi in quel momento, in quel contesto, con quella persona.

Proviamo a fare un esempio in relazione alla questione-stimolo da cui siamo partiti per questa riflessione.

Esprimi le tue osservazioni senza giudizi:
QUANDO VEDO che rimproveri – aggredisci – svilisci – i ragazzi… (in quale comportamento osservabile si traduce la scorrettezza del collega?)

Esprimi come ti senti:
IO MI SENTO arrabbiata/o…

Esprimi i bisogni che stanno dietro le tue emozioni:
PERCHÈ HO BISOGNO di percepire che i valori in cui credo fermamente siano condivisi all’interno del gruppo di lavoro di cui faccio parte…

Esprimi la tua richiesta concreta, positiva, nel presente:
MI PIACEREBBE CHE potessimo parlarne in maniera costruttiva, per adottare un approccio condiviso.

La Comunicazione Non Violenta è più che una metodologia comunicativa, è un’arte di vivere! Un approccio affascinante che può guidarci nella costruzione di relazioni positive. Puntare il faro sul nostro vissuto emotivo e sul modo in cui lo gestiamo può insegnarci a non reagire d’impeto, ma piuttosto a ponderare le situazioni, mettendoci nei panni dell’altro e confrontandoci in maniera etica e costruttiva. Davvero un bellissimo obiettivo per la scuola e, in generale, per la società.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
Goleman, D. Intelligenza Emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, Rizzoli Editore, 2011;
Marshall B., Rosenberg, Educare con la comunicazione nonviolenta, Esserci Editore, 2010.

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