Insegnamento tra pari (peer tutoring): chi ci guadagna di più?

insegnamento tra pari (peer tutoring)Se entrate in una classe e notate che i ragazzi stanno lavorando in coppie su materiali didattici, potreste non essere del tutto certi di cosa stia accadendo. Sarà apprendimento cooperativo, qualche metodologia attiva con chissà quale grado di strutturazione, una qualche forma di insegnamento tra pari?

In effetti, i metodi di insegnamento-apprendimento a mediazione sociale sono diversi e ciascuno ha peculiarità che andrebbero considerate. Le specificità dell’ apprendimento cooperativo (cooperative learning) hanno avuto molte occasioni di discussione sul nostro sito, sia rispetto ai componenti essenziali che ne determinano l’efficacia (interdipendenza positiva, responsabilità individuale e di gruppo, abilità sociali, interazione promozionale faccia a faccia e simultanea, eccetera), sia rispetto agli approcci sviluppati da autori come i Johnson del Learning Together, Kagan e l’approccio strutturale, la Sharan con la Ricerca di Gruppo, sia come esempi di strutture da usare in classe.
In questa occasione approfondiamo una strategia didattica che condivide con il Cooperative learning l’uso di coppie e piccoli gruppi di pari per favorire apprendimento: il Peer Tutoring (Topping, 1997).
Il tutoring può essere definito come un’attività svolta da persone che non sono insegnanti professionisti che consiste nell’aiuto e sostegno all’apprendimento di altri in modo interattivo, intenzionale e sistematico. Di solito si fa su base uno ad uno, in coppia. I tutor possono essere genitori o altri adulti significativi, fratelli o sorelle, altri membri della famiglia, o altri appartenenti al gruppo di pari, nonché vari tipi di volontari. (Topping, 2000).
In ambito scolastico, il tutoring consiste nell’insegnamento reciproco tra pari, compagni di classe o meno, dove uno studente svolge il ruolo di “tutor”, cioè colui che insegna al compagno, che è il “tutee” o tutorato. Si parla allora di Peer Tutoring.

Breve storia del Peer Tutoring

Questa metodologia ha radici storiche molto antiche e nel corso dei secoli è stata variamente utilizzata: viene fatta risalire all’antica Grecia di Aristotele, alla Roma di Quintiliano nel I secolo d.C., e si ritrova nella scuola gesuitica e in Comenio (XVII secolo). Torna in auge nell’India coloniale dove Andrew Bell fondò una scuola per gli orfani dei soldati inglesi morti in guerra e nell’Inghilterra della prima industrializzazione con Joseph Lancaster che nel 1798 aprì a Londra una scuola per i figli degli operai. Questo metodo si diffuse in Europa soprattutto in Francia ed Italia, ma anche in Africa, America latina, Stati Uniti e Canada. Non dimentichiamo che anche nel metodo Montessori i bambini più grandi insegnano ai più piccoli.
Questa metodologia condivide con il Cooperative learning il riferimento teorico a Piaget e Vygosky, il primo per la visione dello sviluppo cognitivo possibile attraverso il superamento di squilibri socio-cognitivi che stimolano la crescita individuale; il secondo per il ruolo essenziale del contesto sociale nel promuovere l’apprendimento del bambino.

La rinascita di questa metodologia negli anni ’60-’70 si deve alle crescenti esigenze di integrazione sociale nei paesi più industrializzati. Negli Stati Uniti alcuni programmi di Tutoring vennero utilizzati per promuovere possibili soluzioni ai problemi di integrazione sociale. Furono sperimentati programmi di insegnamento reciproco inter-età, focalizzati soprattutto sullo sviluppo di relazioni sociali significative tra i partecipanti in ambito scolastico ma anche sullo sviluppo di abilità di lettura, matematica, scienze, recupero di difficoltà di apprendimento; vennero anche realizzate attività di tutoring della stessa età (Martinez e Comoglio, 1994).

Quali sono le caratteristiche di questo approccio all’apprendimento?

Chi fa il tutor?

Non deve essere una persona tanto più esperta del compagno, anche se deve essere un po’ più avanti rispetto al contenuto o all’abilità da insegnare per rispettare appunto la Zona di Sviluppo Prossimale Vygotskijana. Esistono due forme di tutoring:

• Cross age (diversa età)

  • Studenti delle classi più avanzate
  • Adulti esperti
  • Adulti non esperti
  • Anziani
  • Studenti universitari
  • Esperti esterni (professori universitari o adulti molto preparati)

• Same age (stessa età): tra compagni di classe

  • Partner learning (Smith, 1977)
  • Pause, prompt and praise
  • Co-tutoring o tutoring reciproco

Su cosa si fa tutoraggio?

  • Lettura
  • Grammatica
  • Matematica
  • Scienze
  • Lingue

Alcune riflessioni dalla ricerca sul peer tutoring

Perché scegliere questa strategia didattica?
Da un punto di vista teorico, il tutoring si appoggia ad alcuni meccanismi che favoriscono l’apprendimento individuale del singolo.
Il primo è l’individualizzazione che indica l’adattamento dell’insegnamento alle caratteristiche individuali dei discenti, attraverso precise e concrete modalità d’insegnamento (Baldacci, 2004).
Il secondo è il modellamento, che consiste nel processo di apprendimento che si attiva quando il comportamento di un individuo che osserva si modifica in funzione del comportamento di un altro individuo che ha la funzione di modello (Bandura, 1997).

La ricerca scientifica dimostra che chi beneficia del tutoring non è solo l’allievo che riceve l’insegnamento ma anche chi insegna. Le aree di miglioramento riguardano:

  • Atteggiamento verso l’apprendimento: chi insegna diventa più consapevole di sé e del contenuto, attento a proporlo in modo significativo per l’altro;
  • Preparazione dei materiali didattici: il tutor può sviluppare creativamente modi per insegnare l’argomento;
  • Abilità di apprendimento: per insegnare ad altri occorre padroneggiare bene il contenuto, trovare modi di proporlo, comprendere la prospettiva dell’altro, trovare esempi e dimostrazioni comprensibili, favorire la consapevolezza del processo di apprendimento. L’efficacia nell’insegnare sostiene la fiducia in sé.
  • I risultati scolastici: sia il tutor che il tutee beneficiano dell’esperienza rispetto al rendimento nella materia.

Secondo Topping (2000), tutti si avvantaggiano ed imparano a dare e ricevere lodi ed incoraggiamenti, sviluppano abilità sociali e contatti più ampi e maggiori abilità comunicative (ascolto, spiegazione, fare domande, sintesi), assieme ad una maggiore autostima.
Egli sottolinea come il tutoring presenti molti vantaggi operativi, seppure si differenzi molto dall’insegnamento diretto del professionista, il quale si caratterizza per grande padronanza dei contenuti e delle tecniche di insegnamento. Tra di essi si ritrova l’uso di un vocabolario più semplice, la possibilità di svolgere una quantità maggiore di attività pratiche e di individualizzare il sostegno alla persona, ma anche maggiori occasioni di meta cognizione e di ricevere feedback immediati.
Grande differenza anche rispetto alla collaborazione tra pari, in cui la coppia che si aiuta ha esattamente gli stessi strumenti intellettuali e si confronta assieme sullo stesso problema.

Esempi di tutoring tra pari (Martinez e Comoglio, 1994)

Partner learning (compagno di apprendimento (Smith, 1977)

Questo programma di apprendimento individualizzato prevede che il peer tutoring affianchi la modalità tradizionale di lezione. La classe viene inizialmente sottoposta ad un test sull’argomento da studiare, sulla base del quale si costituiscono coppie (punteggio alto con punteggio basso, oppure punteggio medio con medio). Le coppie sono libere di lavorare assieme quando ne avvertono l’esigenza per confrontarsi su quanto non capiscono. La durata degli incontri varia da 1 a 10’, a volte di più, in base alla complessità del compito da affrontare. Durante la lezione gli studenti possono quindi parlarsi in coppia quando in difficoltà e verificano se ciascuno ha compreso il materiale assegnato. Regola importante è che i problemi vanno risolti in classe con il partner.

PPP – Pause, Prompt, Praise (pausa, suggerimento, elogio) (Wheldall e Colmar, 1990)

Il programma, sviluppato per i problemi di apprendimento nella lettura, usa come tutor i genitori e, soprattutto, i compagni di classe. Ha alla base un modello di apprendimento della lettura che pone al centro tre abilità:
a) Uso di informazioni contestuali e sintattiche
b) Sapere discriminare informazioni grafo-foniche
c) Controllo di sé ed auto-correzione.

Prevede una procedura specifica da adottare:

  • Pausa: viene fatta dal tutor quando il bambino che legge sbaglia o esita. E’ il tempo per consentire la consapevolezza dell’errore e l’autocorrezione.
  • Suggerimento: se dopo 5 secondi il bambino non trova la risposta corretta da solo, allora il tutor offre il suggerimento, con strategie diverse che dipendono dal tipo di errore commesso. L’obiettivo è far riflettere più che dare subito la risposta giusta.
  • Lode ed incoraggiamento: il rinforzo deve essere specifico ed immediato, e va dato anche in caso di auto-correzione

Co-tutoring o tutoraggio reciproco (GoldSchid, 1970)

Nato per il contesto universitario, prevede che tutti gli studenti di una classe di preparino su un argomento, pensando anche a domande. Successivamente vengono messi in coppia in modo casuale e sono invitati ad insegnarsi ciò che hanno appreso anche mediante domande e commenti. L’insegnante svolge un ruolo di osservatore e di esperto del contenuto per eventuali approfondimenti.

Alcuni suggerimenti operativi

La ricerca riporta come si ottengano risultati migliori quando viene fatto uso di materiali strutturati, suddivisi in sequenze, che permettono al tutee di procedere gradualmente e facilitano anche il compito del tutor e possono ridurre la complessità e la durata della fase di formazione.
Sembra che funzionino bene programmi di media lunghezza, di ameno 5-7 settimane, con 2-3 incontri a settimana di circa 30’, di cui 20’ di incontro reale con il tutee e 10’ di preparazione del materiale. Occorre comunque ricordare che la durata del peer tutoring dipende dall’età degli allievi, dalla tipologia del compito e dalle potenzialità cognitive del tutor e del tutee, ecc. (Gagliardini, 2010).
Occorre considerare essenziale una fase di training del tutor per preparare gli studenti a svolgere adeguatamente il ruolo sia rispetto ad abilità relazionali quali il saper dare aiuto senza sgridare o picchiare, incoraggiare, osservare il comportamento del tutee; ma anche abilità semplici di conduzione dell’incontro come sedersi adeguatamente nella sessione e tenere in ordine i propri materiali per la lezione. Infine, non sono di poco conto le abilità di possesso dei contenuti, per preparare le attività della lezione in anticipo (se devono leggere, allora leggere prima il testo e prepararsi le domande da fare).
Come per l’uso efficace delle tecniche di apprendimento cooperativo, la scelta dell’ ambiente costituisce un dettaglio rilevante da curare. Sarebbe meglio che l’esperienza di tutoring avvenga nella stessa classe ma l’importante è che gli studenti possano lavorare tranquilli.
Ulteriore attenzione sta nel monitoraggio e controllo dell’efficacia delle sessioni come stimolo alla motivazione degli studenti. Occorre prevedere delle prove di apprendimento in itinere e dei report che il tutor può compilare.
Infine è necessario considerare che i rinforzi per sostenere l’impegno del tutor e del tutee vanno individuati e dati ad entrambi.

Conclusioni

Ricapitolando, il tutoring è una metodologia a mediazione sociale che mette al centro dell’apprendimento gli studenti, che come non professionisti aiutano e sostengono l’apprendimento di altri in modo interattivo, intenzionale e sistematico.
Il tutor non deve essere troppo esperto del contenuto o dell’abilità da insegnare ma va formato prima nei contenuti e nei modi di relazionarsi con il compagno in modo da consentire il miglioramento del tutee. Come per l’apprendimento cooperativo, non stupisce scoprire che chi migliora nella realizzazione di questa attività di studio non è solo lo studente che viene ufficialmente aiutato, ma anche colui il quale aiuta.
E come per il cooperative learning, il programma di tutoring va attentamente progettato dall’insegnante che ha il ruolo di progettista e supervisore delle attività.

 

Bibliografia
Bandura, Albert (1997), Autoefficacia: teoria e applicazioni. Tr. it. Erikson, Trento, 2000.
Dalle Carbonare E., Ghittoni E., Rosson S., Peer educator. Istruzioni per l’uso, Franco Angeli, Milano, 2004.
Gagliardini, I. (2010). L’aiuto reciproco in classe: esperienze di peer tutoring. Psicologia e scuola, gennaio-febbraio, 11-18.
Martinez, M.E., & Comoglio, M. (1994). Apprendere insegnando. Il “Peer tutoring”: teoria, storia, ricerca, applicazione. Istituto di Didattica, Roma.
Menesini E., Codecasa E., Una rete di solidarietà contro il bullismo. Valutazione di un’esperienza italiana basata sul modello della peer education. Psicologia e scuola, n. 103, 2001.
Pepe S., L’educazione tra pari: una bibliografia ragionata. Psicologia dell’educazione e della formazione, 6 (1), 2004.
Topping K. (1997), Tutoring, Erickson, Trento
Topping K. (1997), Tutoring. UNESCO – INTERNATIONAL BUREAU OF EDUCATION. http://unesdoc.unesco.org/images/0012/001254/125454e.pdfConsultata il 1.2.2017

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