Come proteggere gli studenti oppositivi-aggressivi dai propri impulsi distruttivi?

È giusto venire a scuola per imparare e trovarsi con una spalla o una mano o un braccio fratturato? 

“E’ solo un gioco. Ci stavamo divertendo. Non l’ho fatto apposta! Mi ha fatto arrabbiare. Non ho fatto niente (di grave).” Queste ed altre sono alcune delle espressioni tipiche che si incontrano quando ci si imbatte in un alunno/a che ha problemi di comportamento ostile aggressivo.

Troviamo in queste situazioni due perdenti: la persona che è stata aggredita e l’aggressore. L’aggredito che spesso comincia a nutrire paura o ansia nel contesto scolastico e l’aggressore che non si sa fermare, non si sa autoregolare, non sa trovare un modo rispettoso per affermare se stesso. 

Ma rivediamo alcuni concetti.

Chi sono gli studenti ostili aggressivi

Seguendo le indicazioni dello psicologo dell’educazione Jerome Brophy (cfr. Insegnare a studenti con problemi, 1999, LAS) è necessario distinguere i comportamenti oppositivi in tre tipologie di azione:

  1. I ribelli–provocatori, coloro che resistono con le parole e si oppongono sfidando;
  2. I passivo-aggressivi, coloro che esprimono resistenza in maniera indiretta, intralciando il lavoro;
  3. Gli ostili aggressivi, coloro che esprimono ostilità con comportamenti diretti e facenti uso della forza.

Ognuna di queste varietà sollecita e “gioca” con la rabbia propria ed altrui in maniere diverse. Nei precedenti articoli abbiamo parlato delle prime due categorie. In questo contributo mi soffermerò sugli ostili aggressivi.

Come riconoscere gli studenti ostili aggressivi

Generalmente gli ostili aggressivi esprimono ostilità con i loro comportamenti diretti, aggressivi e facenti uso della forza fisica. Non sono controllati e picchiano, spingono, danneggiano le cose degli altri, si arrabbiano facilmente, si mettono in antagonismo, fanno intimidazioni e minacce.

La ricerca sul perché soltanto certi individui sviluppino modelli generalizzati di risposte aggressive alla frustrazione ha messo in evidenza fattori che partono dal modelling che proviene dagli adulti (genitori ma anche modelli virtuali, penso all’antico GTA o ai più recenti God of War, Call of Duty, Battlefield), fino alle conseguenze socializzanti e rinforzanti dell’azione violenta nate dalla popolarità e dal “rispetto” che i pari spesso hanno per questi compagni. Infine, la ricerca (Hudley, 1994) si è focalizzata sulla scarsa capacità di autoregolazione cognitiva ovvero la comprensione, interpretazione degli stimoli sociali e la conseguente ricerca di una risposta efficace.

Strategie di intervento cognitivo con gli ostili aggressivi

Proprio per queste osservazioni finali potrebbe essere molto efficace proporre attività di autoregolazione cognitiva, come imparare a: 

  • decodificare il non verbale degli altri e 
  • interpretare i segnali per comprendere se una azione è accidentale, ostile o ben intenzionata. 

Successivamente sarà necessario 

  • cercare risposte alle situazioni, 
  • valutare le conseguenze della risposta e 
  • decidere quali metodi pro-sociali e cooperativi di risposta usare.

Ovviamente questo lavoro prettamente cognitivo può avere avvio se noi insegnanti riusciamo a controllare la rabbia o la preoccupazione e ci poniamo in atteggiamento di ricerca comune di strategie di convivenza più efficaci.

In un colloquio, un alunno recentemente mi ha detto: “ Ho scelto di venire da lei, perché nella presentazione ha detto che ci sa fare con gli alunni impulsivi. Finora avevo trovato solo persone più arrabbiate di me”. 

Strategie di intervento relazionale con gli ostili aggressivi

Se invece vogliamo soffermarci sugli aspetti legati alla socializzazione, sarà necessario innanzitutto usare il modelling, rinforzando affermazioni e comportamenti cooperativi e sforzandosi di vedere anche l’unico comportamento prosociale che dovesse essere esibito.

Contemporaneamente sarà necessario agire sulla classe in modo da insegnare a voce come risolvere conflitti in modo cooperativo, assicurandosi che l’aggressore non tragga vantaggi dai suoi atti e insegnando alle vittime strategie assertive attraverso dei training collettivi di abilità sociali. Si tratta di programmi che privilegiano giochi di ruolo, simulate, o l’uso di carte a t nella classe, durante i lavori di gruppo.

Dunque sarà sempre necessario pensare ad un intervento a più livelli: 

  • sullo studente aggressore (strategie di autoregolazione cognitiva e giochi per riconoscere le proprie emozioni), 
  • su quello aggredito (role play per essere assertivi e per esprimere i propri bisogni), 
  • sulla classe (intervento sulle abilità sociali), 
  • sui genitori (azione di modelling e di scelta/accompagnamento dei videogiochi da usare nel tempo libero).

In conclusione, la perseveranza serve più della violenza: molte cose che non possono essere superate tutte assieme lo sono se prese poco a poco. Anche perché altrimenti, come dice Gandhi, se continuiamo nella logica dell’occhio per occhio …  il mondo diventa cieco.

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