Invalsi: perché parlarne adesso?

Invalsi: perché parlarne adesso?Il dibattito attorno all’utilità e all’opportunità di prove nazionali standardizzate e ai loro risultati è tutt’altro che superato e raggiunge il suo apice ogni anno tra maggio (periodo di somministrazione) e luglio (con la restituzione dei risultati).

Ma noi decidiamo di avviarlo ora per farne momento di valutazione formativa utile alla progettazione annuale.

Lucia Bombieri (psicologa sociale e insegnante di scuola primaria)

Ritengo le prove nazionali standardizzate un male necessario che, seppur migliorabile, non può essere semplicemente eliminato o boicottato. Come esperti di educazione, però, non possiamo limitarci alla dicotomia dell’essere a favore o contrari. Dobbiamo confrontarci con esso con la consapevolezza che qualunque tentativo di immortalare lo stato di salute della scuola abbisogni di molteplici elementi che smorzino la confortante semplificazione della sua complessità intrinseca.

Invalsi: prendere o lasciare?

La forza delle prove Invalsi risiede nella legge dei grandi numeri: maggiore è la ripetizione di un evento, maggiore è la probabilità che la sua occorrenza sia prevedibile. Attualmente quasi la totalità della popolazione studentesca interessata (II e V primaria, III secondaria di primo grado, II e V secondaria di secondo grado) partecipa alla rilevazione permettendo di ottenere dei dati reali sulle competenze linguistiche e logico matematiche tra gli studenti del territorio nazionale confrontabili anche a livello internazionale.

I nodi da districare

E qui c’è un primo elemento di criticità: una percentuale di realtà locali può falsare i risultati tramite aiuti indebiti o boicottaggi volontari. Si può, quindi, ragionare su risultati che sono viziati all’origine da alcuni comportamenti scorretti? Possiamo dire che, senza considerarli verità assolute, la loro ampia partecipazione giustifica una loro cauta accettazione.

Al di là della validità statistica, poi, le prove cambiano ogni anno e sono predisposte per investigare competenze di processo anziché mere conoscenze. La procedura per la selezione dei materiali del test stesso è lunga e complessa, e per molti non conduce alla stesura di prove adeguate: troppo facili o troppo difficili o scollegate dalla pratica didattica, raramente sono viste come una misura adatta a testare i risultati dell’apprendimento a scuola. Questa è un’area problematica di difficile risoluzione in quanto collide con l’autonomia didattica e il contesto socioculturale di ogni istituzione. In parole povere, l’adeguatezza o meno del materiale scelto è sempre un “dipende da” e di conseguenza si è scelto, a livello centrale,di fare riferimento ai risultati attesi a livello nazionale e in confronto ai coetanei a livello europeo, anziché alle varie esperienze individuali locali.

Un terzo nodo che è particolarmente rilevante per i docenti è la loro restituzione con conseguenti aspettative di performance. Questa fase è la più promettente e criticata tra gli insegnanti, con reazioni che spaziano dal totale rifiuto (a priori) fino alla piena accettazione acritica dei risultati nazionali come riferimenti normativi. Su questo, il confronto tra i professionisti della didattica non è solo necessario, ma fornisce anche un terreno fertile per una produttiva autovalutazione del sistema e del singolo.

Come usare i risultati Invalsi

Ciò premesso, la qualità delle prove può essere migliorata agendo sui primi due aspetti metodologici di creazione e di somministrazione. L’atteggiamento verso la restituzione dei risultati, invece, è un aspetto che interpella singoli docenti e istituzioni e che permette di costruire quella sintesi tra la scuola reale e le aspettative ideali indipendentemente dalla perfezione formale delle prove.

Solitamente, i risultati vengono presentati dall’Invalsi già scomposti sulla base del genere, dello stato di studente posticipatario, dello stato socioculturale, dello stato di prima o seconda immigrazione, dell’area geografica.

Queste categorie sono presenti anche nelle nostre classi, ma hanno declinazioni personali e sfumate.

Considerazioni di genere

Ad esempio: la constatazione che le ragazze abbiano risultati sopra la media in italiano e sotto la media in matematica risuona coerente con i tanti studi sui bias di genere. Ciò non toglie che nelle nostre classi ci siano ragazzi bravissimi nelle competenze linguistiche e ragazze particolarmente portate per le scienze che quindi non si trovano rappresentati o rappresentate nei punteggi medi. Possiamo dedurne che il dato globale non sia veritiero? La domanda così posta è sbagliata, visto che non si tratta di dubitare del dato nazionale ma di utilizzarlo come chiave di lettura per rispondere ai bisogni educativi dei singoli studenti e studentesse. Dal mio punto di vista, questo è lo sforzo che ogni docente interessato deve fare per cogliere i punti di forza e di debolezza del gruppo classe in relazione al singolo e in relazione al confronto nazionale e transnazionale, senza idealizzare le medie di riferimento ma anche senza ignorare eventuali aree di miglioramento che richiedono una riflessione per meglio orientare i propri interventi didattici.

Considerazioni di status socioculturale

Un altro esempio emblematico è la “misurazione” dello stato socioculturale dalle caratteristiche di istruzione e lavorative dei genitori: ogni docente sa che le realtà d’origine dei propri studenti è complessa, con possibilità e gradi di coinvolgimento diversi che favoriscono, o meno, la realizzazione del pieno potenziale di ogni ragazzo o ragazza. In questo, i risultati sono abbastanza ovvi per quanto riguarda le performance individuali mentre si offrono spunti di riflessione a livello di istituti scolastici. Come erogatore di cultura e ambito di socialità, l’ente Scuola deve e può cercare di colmare i divari individuali, offrendo pari opportunità di apprendere e appassionarsi al sapere, a tutti i suoi fruitori minimizzando per quanto è possibile l’eventuale svantaggio personale.

Allo stesso modo ci si dovrebbe interrogare sui due indicatori che più polarizzano i lavoratori della scuola e i legislatori: i risultati degli studenti e delle studentesse con un background migratorio o le differenze geografiche all’interno del paese. Si richiede di adottare un approccio onesto e maturo per interrogarsi sui molteplici fattori di rischio che tali classificazioni portano con sé e che non possono essere isolati o affrontati individualmente se si vogliono ottenere risultati strutturali.

Conclusioni

Una riflessione a tutto tondo richiederebbe una trattazione a parte, ma per ora considero questi dati provocatori come un “vantaggio collaterale”: la scuola può essere vista come un sistema a camere stagne o a vasi comunicanti, e ciò condiziona l’approccio e l’interpretazione ai dati tra le altre cose.

In conclusione, le prove Invalsi non dovrebbero servire per condannare o assolvere, bensì per fare i conti con le esigenze in continua evoluzione della popolazione studentesca e del contesto socioculturale nazionale e internazionale. E’ per questo che settembre dovrebbe essere il mese giusto per parlarne.

 


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